lunedì 6 gennaio 2014

Le ribellioni dei sardi nei confronti dei romani.

 di:  Angelo  Vinci



Raffigurazione battaglia di Cormus tra i sardi e i romani
Nel terzo secolo a. C. la sempre più potente repubblica di Roma nella sua  inarrestabile e sfrenata corsa verso l' espansione territoriale riuscì ad impadronirsi della Sardegna. Avvenne nell' anno 238 a. C. L' isola era strategicamente molto importante per la sua dislocazione, e poteva essere una buona base per i commerci e il controllo del Mediterraneo.   Fino ad allora Cartagine teneva la Sardegna sotto il   proprio controllo. I punici e la popolazione autoctona avevano raggiunto un buon grado di convivenza, perlomeno nelle aree costiere e nelle aree interne pianeggianti. Proprio in queste aree sorsero le prime citta fenicio/puniche: Nora, Caralis, Sylki, Trarros, Cormus, Bithia.  
Rimanevano ancora  sacche di autonomia  nelle zone interne impervie e montagnose. Oramai i punici avevano quasi desistito dal tentativo di sottomettere  le popolazioni di queste zone. Le popolazioni che vivevano in questi territori probabilmente continuavano a far uso dei nuraghi. Chissà forse stipularono un qualche accordo che permetteva a entrambi di vivere tranquilli. Il fatto che il cittadino punico Ampsicora vada a chiedere aiuto ai sardi delle montagne (come vedremo più avanti) è la prova che i sardi delle zone interne erano una entità autonoma e indipendente. I romani dopo aver conquistato la Sardegna la sottoposero a una dura oppressione con forti esazioni, che i sardi mal sopportarono. Il tentativo di sottomettere le popolazioni dell' interno dell' isola fu messo in atto anche dai romani, ma con esisti scarsi o nulli. Alle azioni militari dei romani, i sardi facevano seguire imboscate   e  rappresaglie. I legionari romani erano abilissimi nel combattere frontalmente il nemico perché applicavano strategie ben collaudate, ma quando il nemico compariva all' improvviso si trovavano in forte imbarazzo. I romani avevano affibbiato alle popolazioni dell' interno l' appellativo di "Barbaries"  (ancora oggi questo territorio è chiamato Barbagia).


Territori della Barbagia

Le popolazioni dei territori che i romani avevano sottomesso furono sottoposte a un sistema di esazione che gli stessi romani chiamavano "DECIMA" . La decima era una pratica esattoriale che i romani applicavano  nei confronti delle popolazioni sottomesse,  consisteva nel sottrarre la decima parte di quanto veniva prodotto. La Sardegna per Roma era importante per la grande produzione di grano. Nei secoli futuri i romani diedero all' isola l'appellativo di "GRANAIO DI ROMA". Altre produzioni isolane furono assoggettate  alla decima; il sale, il sughero e i prodotti della pastorizia. Fu la forte oppressione a spingere i sardi in più occasioni a ribellarsi. La popolazione sarda autoctona fiera e combattiva aveva accettato a malincuore la presenza dei punici sul suolo sardo, ma ora non  era più disposta a subire la presenza dei nuovi dominatori. I romani come in precedenza i punici non riuscirono a sottomettere tutta la popolazione sarda. Le popolazioni delle zone interne e montagnose continuarono a vivere autonomamente nell' impronta della  loro cultura. Queste popolazioni erano l' ultimo residuato della  grande Civiltà Nuragica. Nessuna cultura esterna aveva inquinato la loro cultura. Dopo che i romani conquistarono la Sardegna, i punici residenti nell' isola cercarono l' aiuto dei sardi delle pianure per scacciare i romani e reimpossessarsi dell' isola. Non abbiamo notizie precise e dirette sulla richiesta di aiuto da parte dei punici  ai sardi delle montagne tranne che la richiesta di aiuto che venne avanzata  dal sardo/punico Ampsicora. Se una tale richiesta fu avanzata è certo che le popolazioni delle zone interne non risposero positivamente. I romani non appena una ribellione veniva messa in atto  dai sardo/punici la soffocavano duramente.  I soldati romani  meglio equipaggiati, e ben organizzati militarmente avevano gioco facile sui sardo/punici non ben armati e men che meno   organizzati militarmente. Già a due anni dalla conquista dell' isola i romani dovettero placcare gli animi in più occasioni. Nel 235 a.C. la rivolta fu più sostenuta e le truppe romane dovettero impiegare più energie per placcarla. I sardi sobillati dai cartaginesi che risiedevano nell' isola si ribellarono  con maggior convinzione e con più energia rispetto al passato. Ma anche questa rivolta fu repressa con durezza dai soldati romani al cui commando Roma pose Manlio Torquato. I sardi indomiti, fieri e combattiti non chinarono la testa e continuarono a contrastare la presenza dei romani in terra sarda. Sottoposti a una esazione fiscale  gravosa  e da una sproporzionata prelevazione di grano cercarono in ogni modo di scacciare il dominatore romano. Tra le varie tribù che abitavano la Sardegna non vi era coesione, non riuscivano a far fronte comune e agivano spesso separatamente. Ciò favoriva i romani nell' azione di  repressione delle sollevazioni  popolari.  La mancanza di coesione di sicuro ebbe un ruolo importante negli atti di ribellione  che i sardi mettevano in atto per contrastare la presenza dei romani. Probabilmente  se i sardi si fossero meglio coalizzati i romani avrebbero avuto vita meno facile. Magari la storia oggi la leggeremo in modo diverso. Roma continuava a tenere la Sardegna sotto una cappa di oppressione con esazioni fiscali sempre più gravose,  che venivano mal sopportate dai sardi. Le ribellioni si protrassero per lunghi anni ( 233-232-231-226 e 215 a.C. ). Nell' anno 231 a.C. Roma temendo che i sardi stessero per iniziare una grande rivolta invio in Sardegna un esercito  con l' intento di soffocarla nel modo più duro possibile,  ne affido il  commando a Marco Pomponio Mattone. La spedizione non ebbe successo e le ribellioni continuarono. Al rientro a  Roma per Marco Pomponio Mattone non si celebro in Campidoglio nessun trionfo. Le ribellioni vennero represse solo con l' invio in Sardegna  nel 225 a.C. del pretore Caio Attilio Regolo. Di rivolta in rivolta si arriva al 215 a.C. anno in cui i sardi attuarono la rivolta più importante. Roma e Cartagine si stavano fronteggiando per contendersi il controllo del Mediterraneo. Cartagine sconfisse i romani con il suo condottiero Annibale. Queste vittorie dei cartaginesi sui romani galvanizzarono i punici di Sardegna, che assumendo più coraggio e decisione, coalizzati con una parte della popolazione  sarda insorsero contro i romani. Questa fu in assoluto la rivolta meglio organizzata e  con la messa in campo di un grande  esercito. La rivolta fu capeggiata da Ampsicora che  lo storico romano Tito Livio nella sua opera "Ab urbe condita" definiva "qui tum auctoritate atque opibus longe primis erat" (colui il quale in quel tempo era largamente primo per autorità e ricchezza) .


Ampsicora
Ampsicora apparteneva alla ricca aristocrazia punica che risiedeva in Sardegna. Riuscì a mettere in campo un esercito composito di sardi e punici/sardi  assai consistente che rinforzo con gli aiuti militari che grazie alla sua autorità e alle origini cartaginesi riuscì ad ottenere da Cartagine. Tito Livio non ci tramanda il luogo esatto ove risiedeva, ma si può presupporre che fosse Cormus,  citta fondata dai cartaginesi situata su una piccola altura  in territorio di Cuglieri (a nord di Oristano). Altro personaggio importante e influente che partecipò alla rivolta fu Annone,  ricco cittadino punico che risiedeva a Tharros. Ampsicora era intenzionato a sferrare l' attacco quando tutte le forze disponibili si fossero riunite. Quindi dovette  aspettare l' arrivo delle truppe inviate da Cartagine e le truppe dei sardi delle zone interne a cui chiese aiuto ma  che stentarono ad decidere il loro intervento. Per convincere i sardi delle montagne Ampsicora si reco personalmente nei loro territori lasciando il commando al figlio Josto. Fu proprio il figlio Josto a vanificare tutto. Animato dall' ardore e dall'  esuberanza tipiche  della sua  età accetto impudentemente  la battaglia  in campo aperto che gli offri  il comandante romano Manlio Torquato. La sconfitta fu pesante per i sardi, lasciarono sul campo molti uomini. Morino  3.000 fanti e 800 furono fatti prigionieri. I sardi delle montagne ruppero l' indugio e si unirono al resto delle truppe, come pure fecero i cartaginesi che erano sbarcati a Tharros al commando di Asdrubale il Calvo. L' esercito sardo/punico  incalzo subito le truppe romane che si misero in fuga verso Caralis (Cagliari). La fuga dei romani prosegui fin quasi alle porte di Caralis dove i due eserciti si affrontarono nell'ultima decisiva battaglia. Ne Tito Livio o altri storici ci hanno tramandato il luogo esatto ove avvenne la battaglia. Dovrebbe essere avvenuta tra Sestu e Decimo  o tra Sanluri e San Gavino . La battaglia fu cruenta e fini in un bagno di sangue per i sardi, Josto mori in battaglia   e Ampsicora non sopportando il dolore per la perdita del figlio si tolse la vita. Ma probabilmente il suo gesto fu anche finalizzato  a  far si che non  finisse prigioniero dei romani come avvenne per Asdrubale il Calvo e Annone. Morirono 22.000 sardi 3.700 furono fatti prigionieri. L' esito nefasto di questa battaglia smorzo le velleità indipendentiste dei sardi ma non fino  al punto di farli desistere definitivamente. Per tutto il II° secolo a.C. continuarono le rivolte. Roma ancora una  volta dovette ricorrere alla forza per sedare le ribellioni. Due episodi di un certo rilievo avvennero nel 177 e nel 176 a.C. A ribellarsi furono le tribù dei Balari e degli Iliensi,  solo con una repressione violentissima i romani riuscirono a  sopraffare i ribelli. La repressione fu talmente cruenta che le notizie pervenuteci tramite Tito Livio su quei fatti parlano di 27.000 sardi  in totale morti. La spedizione punitiva venne affidata al console Sempronio Gracco al cui comando si posero due legioni di 11.600 fanti e 900 cavalieri in totale. Tito Livio  storico romano  si rifà all' analista Valerio Anziate quando cita l' iscrizione di una lapide commemorativa che venne esposta nel tempio della dea Mater Matuta in elogio al console Sempronio Gracco e alle sue legioni vincitrici sui sardi. Nell' iscrizione lapidea vengono citati i sardi uccisi o catturati: 80.000. Qualcosa su questo dato non è molto chiara. Qualche  dubbio sul numero  dei morti credo sia lecito porselo.  Dato certamente alterato non veritiero. La popolazione sarda all' epoca  era di  300.000 abitanti. Se il rapporto femmine/maschi dell' epoca era di 7/1 o anche di 6/1 o tenendoci bassi di 5/1 è facile dedurre che tutti i maschi vennero uccisi o catturati; cosa assurda. Le azioni militari di repressione dei romani è vero che erano cruente,  si cercava di uccidere quanti più  sardi possibile, ma pensare di eliminare tutta la popolazione maschile (combattevano solo i maschi)  mi pare inverosimile. Se si fanno quattro conti ne salta fuori l' irreale dell' iscrizione lapidea. Quindi, o Tito Livio riporta dati falsi oppure la popolazione era ben maggiore dei 300.000 (cosa improbabile). Dobbiamo considerare    che le popolazioni sarde delle zone interne impervie e montagnose non furono mai sottomesse del tutto dai romani, anzi in buona parte continuavano a vivere in autonomia nel proseguo della cultura nuragica. I romani   quando intrapresero azioni militari contro queste popolazioni, in più occasioni dovettero soccombere. Gli abitanti di queste zone erano 55-60.000 e ciò rende ancor più inverosimile il dato riportato da Tito Livio.


Cormus la citta di Ampsicora
Roma negli anni successivi continuo a sedare le rivolte mandando di volta in volta i sui generali con al seguito un esercito più o meno numeroso in funzione della gravita della situazione. Nell' anno 111 a.C. ogni aspirazione indipendentista fu spenta definitivamente dal console Marco Cecilio Metello. Da questo momento i romani assunsero definitivamente il controllo dell' isola escluse le zone più interne e montagnose. La popolazione che viveva nei territori sotto il pieno controllo romano accettarono a malincuore la presenza dei romani e  smisero di ribellarsi. Gli Iliensi che  abitavano nella Sardegna settentrionale, in una zona compresa tra i monti del Limbara e il Goceano   comunque non si piegarono mai del tutto e con l'età imperiale e l'inizio di una fase di maggior penetrazione romana nell'isola, si rifugiarono nei monti della Barbagia. Dopo le  fine dell' impero anche i bizantini trovarono difficolta nel sottomettere queste popolazioni. La Sardegna dovette aspettare fino al medioevo e la nascita dei 4 giudicati per riavere un lungo periodo di indipendenza.



I quattro giudicati sardi