domenica 1 giugno 2014

Le Tombe dei Giganti le antiche sepolture dell' età nuragica.

di Vinci Angelo




Tomba  di tipo dolmenico S' Ena e Thomes
 Nella preistoria le popolazioni che vivevano in Sardegna, come tutte le  popolazioni coeve usavano seppellire i propri morti dapprima nella nuda terra e successivamente in strutture sepolcrali  costruite ad hoc. Quando si abbandonò la sepoltura nella nuda terra si  inizio a erigere  strutture funerarie come le Domus de Janas, i Dolmen  e le Tombe dei Giganti a partire dall'  epoca nuragica.  A chi non  conosce la protostoria della Sardegna viene  istintivo pensare che le Tombe dei Giganti siano   luoghi di sepoltura di uomini giganti. Non è cosi. Sono unicamente delle tombe di uomini "NORMALI". Le Tombe dei Giganti oltre che essere tombe per uomini "normali" sono anche  luoghi di sepoltura collettivi in cui venivano sepolti più defunti. Sono stati rinvenuti nella stessa tomba fino a 200 defunti. Un aspetto che ancora non è chiaro  fa discutere gli studiosi:  in quale  stato  il corpo del defunto veniva deposto all' interno della tomba. Una  tesi  depone per la preventiva scarnificazione del corpo. Questa pratica comportava il distacco della carne dalle ossa e la deposizione nella tomba delle sole ossa scomposte. La scarnificazione era una   pratica  già nota alle popolazioni preistoriche. Un' altra tesi ipotizza  che il corpo del defunto venisse deposto integro nella tomba. Dai rinvenimenti fatti in alcune  tombe la seconda tesi prende maggior forza.   La deposizione dei corpi dei defunti senza  scarnificazione può venire avvalorata  dal ritrovamento di scheletri con le ossa in perfetta connessione anatomica. Se osserviamo la piccola apertura posta alla base della stele centinata  viene intuitivo scartare la possibilità che il corpo potesse passare integro in un varco di cosi ridotte dimensioni. Quindi se il corpo del defunto non poteva passare dal portello posto alla base della stele, come si deponeva il defunto all' interno della tomba ?. Poteva avvenire o rimuovendo la  stele centinata con una parte dell' esedra,  oppure una parte della copertura. Scarterei la prima ipotesi in quanto la rimozione dell' esedra comportava una disgregazione strutturale della parte frontale difficilmente ricomponibile. La rimozione di parte della copertura invece risultava relativamente   più fattibile.  Questa soluzione è si fattibile ma certamente non doveva essere per niente  facile. La tomba dopo la costruzione veniva coperta con uno strato di terra  lasciando a vista e fruibile solo la parte anteriore. Quando  si doveva deporre  il defunto all' interno della tomba si doveva  rimuovere la terra e  una o più lastre litiche della copertura per poter poi accedere all' interno  e deporvi il corpo. Un lavoro sicuramente dispendioso. Le Tombe dei Giganti le troviamo in tutto il territorio sardo.  Le tombe censite a oggi sono circa 300. Probabile che siano in numero maggiore. In buona parte non si presentano  in buono stato di conservazione. Il residuato strutturale  è assai spesso scarso e  talvolta solo qualche masso nella posizione di origine  ne fa intuire la presenza. Come è avvenuto per i nuraghi anche le Tombe dei Giganti hanno subito l' opera di  demolizione  che si è perpetrata  nei secoli. Come per i nuraghi  l' unico scopo della demolizione era   ricavarne materiale da costruzione. I tombaroli hanno razziato buona parte delle tombe trafugando reperti importanti e causando danni alla stratigrafia.  Di norma sono ubicate nelle immediate vicinanze dei nuraghi. Si riscontrano anche casi in cui le tombe nelle vicinanze del nuraghe sono due o più. Vi sono casi in cui è presente una sola tomba dei giganti in  concomitanza di una alta concentrazione di nuraghi. Ciò porterebbe a presupporre che la tomba fosse utilizzata dagli abitanti di tutti i nuraghi dell' area circostante la tomba. Dall' inizio dell' Età del Ferro  (IX sec. a.C.)  l' utilizzo di queste sepolture andò lentamente scemando. Da tale periodo si comincio a seppellire i defunti in tombe singole. A differenza dei nuraghi dove l' aspetto architettonico  esterno segue una linea di tendenza pressoché uguale (pianta circolare, forma troncoconica, paramenti murari esterni fatti con filari di pietre sovrapposti) nelle tombe dei giganti l' aspetto architettonico non segue una sola linea di tendenza. La parte strutturale  presente pressoché uguale in tutte le tombe è il corridoio interno adibito a camera funeraria. Nella parte esterna in linea di massima gli antichi costruttori hanno cercato di seguire in prevalenza due aspetti  architettonici. Il primo presenta una lastra litica centrale a mo' di stele con due serie di altrettanti lastroni laterali di minore grandezza.  Il secondo  presenta una struttura muraria con al centro una piccola apertura . Non si può fare a meno di notare in ogni tomba tutta una serie di variabili architettoniche frutto dell' inventiva e dell' estro delle maestranze dell' epoca. Probabilmente man mano che si costruivano nuove tombe venivano effettuate modifiche architettoniche seppur lievi che rendevano l' aspetto architettonico diverso da altre tombe costruite in precedenza. Le tipologie delle Tombe dei Giganti sono essenzialmente due:
  • Tombe Dolmeniche
  • Tombe a Filari
Le Tombe Dolmeniche  derivate dai Dolmen (tombe megalitiche prenuragiche) talvolta sono  ricavate ampliando e modificando direttamente un preesistente Dolmen. Un esempio lo si riscontra nella Tomba dei Giganti S' Ena e Thomes nel territorio di Dorgali (NU). 
Corridoio tomba S' Ena e Thomes
La struttura di questa tipologia di tombe generalmente ha un aspetto monumentale. La struttura è composta da un corridoio delimitato da lastre litiche infisse verticalmente nel terreno, che costituisce la camera sepolcrale. La copertura del corridoio e fatta con altre laste litiche. Completano la struttura un' esedra a forma di mezza luna costituita da lastroni di pietra infissi nel terreno. Questo aspetto architettonico  forse è un richiamo al culto del Dio Toro.   Al centro dell' esedra  vi è una  stele centinata alla cui base è presente un piccolo portello. Qualcuno ipotizza che il portello  fosse il punto da cui si introducevano previa scarnificazione  i corpi dei defunti. Operazione  che ritengo poco o per nulla praticabile. Dal risultato di studi recenti fatti su alcune tombe viene  più verosimile pensare che i corpi dei defunti venissero inumati integri. Forse come accennato precedentemente  previo sollevamento di una o più lastre della copertura della camera sepolcrale.  Una delle Tombe dei Giganti più belle è la tomba di  Is Concias a Quartucciu. La tesi secondo cui i corpi venivano deposti integri senza scarnificazione viene  rafforzata dai tanti rinvenimenti fatti all' interno delle tombe di scheletri in perfetta connessione anatomica.  Ciò dimostrerebbe che i corpi furono deposti integri e che il degrado della parte tessutale del corpo abbia conservato la parte scheletrica integra e nella stessa posizione in cui il corpo fu deposto. Se accettiamo questa modalità di deposizione dei corpi dobbiamo parimenti rivedere la funzione del portello alla base della stele centinata. Nelle popolazioni preistoriche vi era una aspetto  culturale assai diffuso secondo cui nel momento del trapasso   il defunto oltrepassava una porta che lo introduceva nel regno dei morti. La porta separava il mondo dei vivi dal mondo dei morti. Questo passaggio veniva rappresentato nei monumenti sepolcrali con una "falsa porta degli inferi". Assai spesso era solo una rappresentazione simbolica in quanto non vi era una vera apertura contrariamente a quanto si riscontra nelle tombe dei giganti dove la "porta" c' è.  Se i corpi venivamo introdotti nella camera sepolcrale dall' alto, c' è da chiedersi: quale poteva essere la funzione del portello?. Di certo una qualche funzione doveva averla. Una funzione potrebbe essere quella  di permettere ai parenti dei defunti di "comunicare" con essi durante l' incubazione. Cosa era l' incubazione ? Era un rito praticato dalle genti nuragiche che si espletava dormendo per alcuni giorni accanto alla tomba.  Quinto Settimio Fiorente Tertulliano scrittore dell' antica Roma di origine cartaginese scriveva:"Aristotele scrive che un certo eroe della Sardegna liberava dalle visioni coloro che andavano a dormire nel suo tempio". 
Stele con portello
Ovviamente il tempio di tale eroe non era altro che la sua tomba.   Questo è un passo di quanto scriveva nel VI d.C. il filosofo Filipono  "Alcuni scrittori hanno tramandato che certe persone afflitte da infermità se ne andavano lontano, presso (le tombe) degli eroi in Sardegna e si curavano; costoro quindi giacevano così per dormire per una durata di cinque giorni, dopodiché svegliandosi ritenevano che il momento  fosse lo stesso in cui si erano adagiati accanto agli eroi". Da presupporre quindi che la  funzione del portello nelle intenzioni dei costruttori doveva essere quella di permettere a chi praticava l' incubazione di "sentire spiritualmente" i defunti.  La possibilità che fosse utilizzato per deporre il corpo preventivamente scarnificato mi sento di escluderla, in funzione di un ragionamento del tutto pratico.  Se si fossero introdotti  all' interno delle tomba i corpi dei defunti dal portello posto alla base della stele, oggi si ritroverebbero degli ammassi di parti scheletriche disposte in modo disordinato. Cosa che non avviene.
Altra tipologia di tomba dei giganti è la tomba cosiddetta a filari. Alcuni  considerano questa tipologia di tomba "più giovane" rispetto alla dolmenica. Il dibattito in merito al periodo in cui si inizio a edificare per prima una o l' altra tipologia di tomba  è ancora aperto. Per individuare la corretta arcaicità di queste tombe  occorre considerare più aspetti. La sola tecnica costruttiva non basta. Nell'  osservazione della  tecnica costruttiva delle tombe "a filari" si nota  che gli antichi costruttori hanno adottato  una tecnica di costruzione che ha molte similitudini con quella dei nuraghi. Il corridoio della camera sepolcrale è realizzato sovrapponendo filari di grossi blocchi di pietra isodomi (è una tecnica costruttiva caratterizzata da file  di grandi blocchi di pietra sovrapposti). Le pareti del corridoio sono aggettanti (come nei nuraghi).
Camera Tomba a Filari
La parte alta si completata  con lastre litiche poste in orizzontale oppure  talvolta dall' incontro delle pareti aggettanti  (tholos nuraghe). Ambedue le modalità  vanno a  formare la chiusura del tetto come nella foto di lato e nella foto in basso. Esempi di tomba a filari li troviamo nella tomba Sa Perda de Accuzzai (con tetto formato dal congiungimento delle pareti) sita nel comune di  Sarroch,  e Sa Domu de S' Orcu (con il tetto formato da lastre litiche) situata  nel comune di Siddi. Quest' ultima è la meglio conservata tra le tombe a filari. In questa tipologia di tomba non è presente la stele centinata. Come  già detto la tomba dei giganti dolmenica dovrebbe essere la più arcaica.  Non tutti concordano sulla presunta maggiore arcaicità  delle tombe dolmeniche rispetto alle tombe a filari. Qualche ripensamento comincia a emerge. Viene avanzata l' ipotesi che le due tipologie di tombe  si siano  iniziate a edificare contemporaneamente. La scelta  di una o l' altra tipologia può essere stata fatta  di volta in volta in funzione di un ragionamento  puramente di  carattere stilistico.  Le due  tipologie quindi potrebbero essere "coetanee" cioè essere state adottate  a partire dallo stesso periodo storico. Sulle tombe dei giganti di spropositi se ne son detti e se continuano a dire tanti. La definizione data a questi edifici sepolcrali "TOMBE DEI GIGANTI " fa credere a taluni dotati di fervida fantasia che si debba applicare l' equazione struttura sepolcrale enorme=defunti altrettanto enormi.  Equazione priva di credibilità. Nessun scheletro gigante è stato rinvenuto all' interno delle tombe. Erano tombe collettive utilizzate dalla comunità che risiedeva nelle vicinanze della tomba. Le tombe dei giganti è indubbio che  assieme ai nuraghi siano il simbolo più emblematico e rappresentativo della civiltà nuragica.
 
Camera sepolcrale tomba dolmenica.

 


domenica 18 maggio 2014

La bandiera dei quattro mori tra leggenda e realtà.

di Vnci Angelo

Bandiera dei quattro mori come è oggi

Quante volte nelle manifestazioni pubbliche (concerti, raduni vari o altro ancora) avrete visto sventolare la bandiera della Sardegna. Tante, tantissime volte perché ovunque fuori dall' isola  i sardi la sventolano con orgoglio. Una bandiera,  uno stemma in cui i sardi tutti  si riconoscono. Certamente a  qualcuno verrà da dire "allora che c' è di tanto importante è  solo una  bandiera è una una bandiera come tante". Certo è una bandiera.  Una semplice bandiera è vero, ma che accomuna tutti i sardi da nord a sud dell' isola. In essa i sardi si  identificano. Un vessillo che a vederlo sventolare inevitabilmente   richiama alla mente la Sardegna. Lo confesso in più di una occasione trovandomi fuori dall' isola mi sono emozionato non poco a vederla sventolare. I sardi chiamano   confidenzialmente la loro bandiera: I QUATTRO MORI.  Ma quanti tra i sardi ne conoscono la storia? Quanti ne conoscono le motivazioni che hanno portato ad accettare la simbologia in essa raffigurata.   Credo non siano poi cosi tanti. Buona parte  dei sardi ha la convinzione che i quattro mori con la benda sulla fronte  rappresentino gli altrettanti  regni della Sardegna medievale: i giudicati. Facile associazione: quattro giudicati=quattro mori . Se proprio si volesse fare un simile accostamento la logica imporrebbe che siano rappresentati gli stemmi dei quattro giudicati. C' è chi  pensa che sia un vessillo relativamente giovane. Diciamo che ha i suoi anni.  Ha una vetustità assai sostenuta. Facciamo un po' di chiarezza. Sull' origine della bandiera e sul significato dei quattro mori ne parlerò più avanti. Il  19 giugno del 1950 si tenne la prima  assemblea del Consiglio Regionale della Sardegna . Tra i tanti punti all' ordine del giorno fu posta la  scelta dello stemma che avrebbe dovuto rappresentare la Sardegna. L' Assemblea Regionale  quasi all' unanimità decise di adottare lo stemma con i quattro mori: sos batteros moros. Il 5 luglio del 1952 un Decreto del Presidente della Repubblica ne autorizza l' uso. Lo stemma scelto fu lo stemma già in uso durante il periodo di occupazione aragonese (triste e buio periodo per la Sardegna). I regnanti sabaudi con poca voglia di cambiamento (facilmente desumibile dall' analisi storica sotto l' aspetto socio/culturale nei primi cento anni della loro presenza sull' isola) decisero di utilizzare lo stesso stemma. La stilizzazione è ovvio fu diversa sia per gli Aragona, che per i Savoia. La scelta che fece L' Assemblea Regionale, probabilmente fu il  frutto di una  considerazione: la Sardegna da tanti secoli (cinque) veniva identificata in quello stemma. La scelta fatta mirava a dare continuità a tale identificazione. Per conoscere la storia della bandiera dei QUATTRO MORI (come viene appellata dal popolo sardo) occorre percorrere a ritroso la storia fino al periodo in cui i Catalano-Aragonesi presero possesso della Sardegna. Lo stemma dei quattro mori compare per la prima volta nei sigilli in piombo della Cancelleria Reale aragonese. Nell' archivio storico comunale di Cagliari sono conservati alcuni documenti chiusi con tali sigilli, appartenuti  a Giacomo II° e Alfonso il Benigno entrambi re  d' Aragona. Gli Aragonesi divennero re di Sardegna a seguito della creazione (avvenuta il   4 aprile 1.297) da parte del Papa Bonifacio VIII del regno di Sardegna. Lo stesso Bonifacio VIII dopo la  creazione del regno  accordo la "licentia invadendi" agli Aragona per permettere agli stessi di legittimare il possesso dell' isola. A seguito della conquista di fatto dell' isola ad opera del sovrano aragonese Alfonso IV nell' anno 1.323 lo stemma con i quattro mori in campo bianco con croce rossa, fu adottato  per il nuovo regno di Sardegna. Regno creato dal nulla e poi  regalato da generoso Papa Bonifacio VIII alla casata Aragonese. Questo stemma fu in  uso dalla casata iberica degli Aragona fin dal XIII secolo. Sul  significato intrinseco dei quattro mori  raffigurati nello stemma  che era in uso da molto tempo da parte degli Aragona vi sono le più disparate versioni. Tutte caratterizzate dal mito e dalla leggenda. Non esiste nessun documento che riporti dati sufficienti che permettano di stabile in che periodo inizio l'  adozione di tale stemma a  stemma identificativo della casata. Tra le tante versioni conosciute  è da mettere in risalto quella che riconduce alla battaglia di Alcoraz combattuta dagli Aragonesi contro i mori (19 novembre 1.096). Nella battaglia il  Re Pietro I° sconfisse pesantemente  i mori guidati dal saraceno  Abderramen. La leggenda narra che dopo la vittoria le truppe aragonesi  issarono insieme alle insegne dei Conti di Barcellona (scudo con quattro pali rossi in campo giallo)  uno  stemma che riportava nei quattro quarti bianchi formati dalla croce rossa (la croce di San Giorgio) la testa di un  moro con la benda sulla fronte. La motivazione sulla comparsa di tale stemma  fu probabilmente legata al ricordo della battaglia e alla vittoria sui saraceni. Quando gli Aragonesi ricevettero "in dono" la Sardegna decisero di assumere lo stemma con i quattro mori come bandiera del regno di Sardegna.
Il  vessillo con i quattro mori   fu innalzato dalle truppe aragonesi durante la battaglia (infausta per i sardi) combattuta a  Sanluri  la domenica mattina del 30 giugno del 1.409 in una località tristemente nota come Su Occidroxiu (il mattatoio). Le truppe  sarde innalzavano  la bandiera con raffigurato l’albero eradicato (stemma del giudicato d’Arborea (l' ultimo dei quattro regni che ancora teneva testa agli Aragonesi). Istintivamente si può pensare che il vessillo degli Arborea fosse la bandiera in cui tutti i sardi si riconoscevano. Ma non è cosi.  La Sardegna medievale era divisa in quattro giudicati indipendenti.  Ogni giudicato (un regno a tutti gli effetti) aveva la sua bandiera, il proprio vessillo. 


L’albero eradicato  era il vessillo di uno dei quattro giudicati, quindi di una parte della Sardegna.  Come ben noto tre dei quattro  giudicati dopo la regalia fatta alla casata aragonese dal Papa  Bonifacio VII, persero l' indipendenza. L' unico giudicato che poteva esprimere la propria piena autonomia e indipendenza nei confronti degli Aragona era il giudicato d' Arborea. In quel preciso momento storico quasi tutta la Sardegna era unificata sotto il controllo di una unica entità statuale: il giudicato d' Arborea. Agli aragonesi rimasero ben pochi lembi di territorio sardo da controllare. Quindi è normale che quel vessillo venisse visto da quei sardi che affiancarono gli Arborensi come la bandiera di  tutti i sardi. Ma di certo non era il vessillo unitario di tutta la Sardegna. La bandiera con i quattro mori   non rappresenta i quattro giudicati della Sardegna medievale come sostenne Antonio Era (insigne giurista dell' Università di Sassari) nella motivazione alla contrarietà della delibera dell' Assemblea Regionale del 1.950. Ma è altrettanto vero che da 600 anni la bandiera con i quattro mori identifica la Sardegna. Perché  mai dovremo adottare una bandiera con il simbolo dei quattro giudicati medievali.  Fu quello un periodo dove le divisioni nel popolo sardo erano accentuate più che mai. Se allora lo spirito di appartenenza comune alla propria  terra, fosse stato più forte e più radicato in seno ai sardi (in primis tra le casate dei regnanti giudicali) oggi staremo a discutere di un' altra Sardegna.
  Una Sardegna come entità statuale.


Quando Emilio Lussu nel 1921  fondò il Partito Sardo d’Azione, adotto i quattro mori come proprio simbolo. Tra le motivazioni  di fondo che spinsero Lussu a fondare quel partito sicuramente vi era la ricerca dell' unita tra i sardi. Unità che ahimè che ancora non la vedo concretizzata. La scelta a simbolo del partito dei quattro mori fatta da  Lussu ci fa intuire che egli in quel vessillo vedeva identificata la Sardegna.  C' è chi critica questa scelta asserendo che una "vera sardità"  l' avrebbe attestata  lo stemma dell’albero eradicato del giudicato d’Arborea. No assolutamente no. Non si può identificare la Sardegna con tale stemma. Già in epoca giudicale ancor prima che si affacciassero sulla scena gli Aragona non era questo  lo stemma  a cui associare  la Sardegna intera. Identificava  il  solo giudicato d' Arborea: una porzione della Sardegna.  Una nazione un popolo ha come simbolo di riconoscimento la propria bandiera. Tanto maggiore l' arco temporale di uso della propria  bandiera e più intensamente ci si  sente accomunati sotto quel simbolo. Certo ogni bandiera ha una storia. La bandiera di BATTEROS MOROS stemma della Sardegna viene  sventolata con orgoglio dai sardi dentro e fuori dall' isola. Viene  considerata  come simbolo di appartenenza alla Sardegna. Ai detrattori della bandiera dei BATTEROS MOROS direi di chiedere a quanti più sardi possibile se non amano questa bandiera, e se intendono cambiarla. Do per scontato che prevalga nelle risposte  all' amore e l' insostituibilità dei BATTEROS MOROS













domenica 27 aprile 2014

I primi contatti tra Fenici e Nuragici avvennero fuori dalla Sardegna ?

di Angelo  Vinci



Territori della Fenicia

I Fenici erano un popolo (forse) di navigatori e abili commercianti, che nel IX a. C. stando all' ufficialità, avrebbero  "messo piede"  per la prima volta in Sardegna venendo a   contato con le genti della Civiltà  Nuragica. Il condizionale è d' obbligo perché le cose potrebbero essere  andate diversamente. Non tanto per ciò che attiene al loro arrivo nell’ isola (i riscontri archeologici ci permettono di collocare la loro presenza in Sardegna attorno al 800-750 a. C.)  ma piuttosto su ciò che attiene al presunto primo contatto con i Sardi Nuragici. Attualmente non vi è alcun dato archeologico che  possa spostare a ritroso e in modo significativo la datazione del loro arrivo in terra sarda. La datazione del loro arrivo  è quasi unanimemente riconosciuta. Quest’ aspetto  finché  non arriveranno altri riscontri in campo archeologico  che vadano a modificare  i dati attualmente disponibili, lo possiamo accettare come base di partenza per ulteriori discussioni in merito alla presenza dei Fenici in Sardegna. Siamo certi che tra Sardi Nuragici e Fenici non vi siano stati  precedenti contatti?  No assolutamente no, non abbiamo la certezza che i Fenici non avessero già incontrato i Sardi Nuragici. Quasi sicuramente i Sardi Nuragici,  solcarono il Mare Mediterraneo molto prima dei Fenici. Può essere che abbiano toccato le coste della Fenicia  quando facevano parte della coalizione eterogenea di popoli che gli Egizi chiamavano  «Popoli del Mare». Questa coalizione si rese protagonista  d’incursioni devastanti sia in Fenicia, che in altri territori dell' Oriente.  Ritengo lecito presupporre che i primi contatti tra Sardi Nuragici e Fenici abbiano avuto luogo  in Oriente in casa dei Fenici proprio in occasione di tali incursioni. Vi sono alcuni aspetti in merito  all’ insediamento dei primi gruppi di Fenici in Sardegna che,  se sottoposti a un’analisi logica mostrano delle incongruenze. Incongruenze  che depongono a favore dei primi contatti tra i due popoli avvenuti fuori dall' isola.  Quando i Fenici decisero di stabilirsi in Sardegna non incontrarono ostilità alcuna da parte dei natii, anzi è probabile che vi fu un'   integrazione, quasi una collaborazione tra le due etnie, come se non si sentissero reciprocamente nemici, ma piuttosto "conoscenti di lunga data". Questo aspetto è molto importante perché  ci permette di fare  delle  logiche considerazioni. In funzione di cosa si può ipotizzare  che Sardi Nuragici e Fenici abbiano avuto i "primi approcci" lontano dall' isola ?

I Sardi Nuragici erano al culmine evolutivo della loro civiltà, avevano affinato tecniche difensive già collaudate da secoli e secoli. Tecniche che avevano permesso al popolo nuragico di non subire invasioni da parte di nessun popolo coevo. Vi è poi l’ aspetto militare da considerare. I nuragici erano guerrieri abilissimi e temuti, dai popoli coevi. Erano di casa nell'  Oriente in quanto con la loro flotta intrattenevano rapporti commerciali con molti popoli dell' area. Erano apprezzatissimi per il loro eccellere nell'arte della guerra. Fecero parte della guardia personale di Ramesse II° come gli stessi Egizi ci hanno tramandato. Erano temuti da tutti. Tanto  temuti che gli egizi in più occasioni ne esaltarono le virtù militaresche. Stando a quanto ci viene tramandato gruppi di  guerrieri nuragici (Shardana come vengono  menzionati dagli egizi)  dovrebbero essere  stati guardie personali del Faraone e abbiano combattuto come mercenari nell' esercito egizio. Se diamo per certo che  i Fenici arrivarono per la prima volta  sulle coste sarde fondando degli stanziamenti stabili, che in seguito avrebbero ampliato tanto da farli diventare delle città e in seguito si sarebbero  spinti  con nuovi insediamenti fino alle zone interne dell’ isola, dobbiamo anche accettare che ciò   sia potuto avvenire solo con un supporto militare efficiente. E qui troviamo la prima incongruità. Vi pare che i Sardi Nuragici militarmente assai superiori ai Fenici (di cui nessuna fonte antica riporta  alcunché sulla  forza militare) si siano fatti sopraffare in terra propria.  I Sardi  Nuragici avevano delle capacita militari troppo superiori, ben collaudate rispetto al "pacifico" popolo dei Fenici. Anche la dislocazione logistica dei sistemi difensivi depone a favore della enorme difficoltà per  chiunque avesse tentato  di approdare indisturbato sulla costa sarda. I Sardi Nuragici  avevano  raggiunto  capacita e tecniche  tali nella costruzione dei nuraghi, che erano in grado di erigerli nei punti più impervi, anche in prossimità  della costa, e quindi in grado di allertarsi in tempo congruo per preparare la difesa.  Con queste prerogative è evidente che   sarebbe stato del tutto facile per i Sardi Nuragici respingere i Fenici qualora avessero tentato di effettuare sbarchi nelle  coste dell’Isola. Se i Fenici non sbarcarono con facilita, come fecero a fondare le città a loro ascritte ?  Una ipotesi potrebbe essere che i Fenici siano stati "invitati" dai Sardi Nuragici a venire in casa loro. Tale invito può esser derivato da  una frequentazione della Fenicia da parte dei Sardi Nuragici  già in essere  da qualche tempo. I Fenici potrebbero aver costituito degli insediamenti stabili nelle zone in cui risiedevano i Sardi Nuragici, con il beneplacito degli stessi Nuragici che li invitarono a "casa loro". Altrimenti come si può spiegare che nelle immediate vicinanze, se non addirittura nel luogo stesso ove sono sorti gli insediamenti fenici,  siano presenti dei nuraghi o strutture nuragiche (pozzi, resti di paramenti murari). Le due etnie nel tempo possono aver raggiunto un tale livello di integrazione reciproca, che  convinse i Nuragici ad abbandonare i nuraghi e vivere negli abitati fenici. A supporto di questa tesi, vi sono il pozzo nuragico,  uno stiletto, una navicella nuragica e  un elemento costruttivo di nuraghe trovato inserito nel muro del tempio cartaginese di Tanit a Nora, la struttura muraria nuragica megalitica di Tharros e i referti di sicura fattura nuragica trovati in alcune tombe fenice  a Bithia. Nelle città sorte ad opera dei Fenici (?) (Bithia, Nora, Sulky, Tharros, Cormus, Caralis) la presenza dei nuraghi è attestata con residuati più o meno consistenti. A Sant' Antioco (l'  antica Sulky fondata dai Fenici) i nuraghi di cui è accertata la presenza  sono oltre venti.


Con una presenza cosi cospicua in un territorio relativamente poco esteso come l' isola di Sant' Antioco, mi pare abbastanza evidente che lo stanziamento stabile dei Fenici può aver avuto luogo solo perché i Sardi lo permisero.  Orbene è appurato che la costruzione dei nuraghi era di pertinenza dei Sardi Nuragici e non dei Fenici.  Se facciamo un ragionamento logico, non possiamo fare a meno di  concludere che nelle città "fondate" dai Fenici dove gli insediamenti nuragici erano già presenti, i Fenici non possono aver "sfrattato" i Nuragici per erigere le loro città. 

Tanto meno non si può pensare che abbiano  potuto edificare le loro città con la costante presenza dei Nuragici nelle immediate vicinanze, se non avessero avuto   il benestare  degli stessi Sardi Nuragici.  Una  spinta verso la  "migrazione" in terra sarda i Fenici potrebbero averla ricevuta  anche dai contatti commerciali  che   sostenevano da tempo  con i Sardi Nuragici,  non solo nella Fenicia ma anche  in altre aree dell'  Oriente. Si può anche  ipotizzare che gruppi di essi abbiano seguito volontariamente i Sardi Nuragici  al loro  rientro sull' isola. Giunti nell' isola  crearono degli avamposti a puro scopo  commerciale. Tali insediamenti in seguito al rafforzarsi della  pacifica convivenza con i sardi,  sarebbero stati  ampliati inglobando  buona parte dei Sardi Nuragici che vivevano nelle vicinanze.  I Fenici non avrebbero quindi imposto la loro presenza con la forza come è solito fare ai   conquistatori. La presenza fenicia fu  concordata con rispetto reciproco tra i due popoli. Non può esserci stata un’egemonia   assoluta e totale dei Fenici rispetto ai Sardi Nuragici. I Fenici sicuramente erano avanti tecnologicamente rispetto ai sardi nuragici, ma nel raffronto puramente militare ne uscivano ampiamente perdenti. Non erano guerrieri nel senso stretto del termine e erano poco avvezzi all'arte della guerra. Nessuna fonte storica riporta notizie di guerre tra Fenici e altre  popolazioni coeve. Questo aspetto può essere stato determinato dal fatto che erano un popolo,   che praticava la stessa  religione, aveva la stessa   economia  basata sul commercio,  ma che non  aveva   uno stato unico inteso come entità politica, ma piuttosto ogni città era uno stato a se stante.  Sicuramente ogni città/stato in virtù della grande esperienza acquisita nel solcare i mari per commerciare i propri prodotti, decise di intraprendere  la navigazione a più ampio raggio nel Mediterraneo. Nei loro spostamenti è improbabile che fossero accompagnati da una compagine   militare, poiché è più verosimile che il loro piccolo esercito   fosse impiegato per la difesa   della città piuttosto che per  spedizioni militari a scopo  espansionistico. Ogni città/stato si muoveva autonomamente nel Mediterraneo.  Alla luce di tutto ciò è impensabile che abbiano potuto arrivare in Sardegna e fondare delle città senza che vi fosse nessuna reazione  da parte dei  Sardi Nuragici. In Sardegna   sono sicuramente arrivati, ma come detto in precedenza con il beneplacito dei sardi nuragici, verosimilmente per creare piccoli "scali commerciali".  Dato certo e indubitabile è che in Sardegna c’è stata una presenza  dei Fenici a partire dalla meta del 750 a.C.  ma tale presenza  vi fu non contro la volontà dei Sardi Nuragici, bensì  da questi  fu sicuramente consentita e verosimilmente i sardi nuragici stessi  si integrarono e  "fusero" autonomamente con i fenici andando a vivere nelle città da essi create. Vi è una tendenza assai diffusa tra alcuni  storici che legge  la storia del Popolo Nuragico in modo riduttivo. Essi pensano che i Nuragici abbiano sviluppato la loro civiltà in ambito isolano, e non siano stati protagonisti  fuori dall' isola. Pensano  che tutti  i manufatti ascrivibili ad altri popoli coevi siano  arrivati in Sardegna portati da uomini appartenenti a tali popoli. Ciò vale per  Micene, Creta,  Civiltà Minoica e naturalmente i Fenici. Il fatto che in alcuni Nuraghi o siti nuragici siano stati rinvenuti reperti di fattura fenicio/punica non significa affatto che siano stati portati sul posto dai Fenici. Chi o cosa  ci vieta di ipotizzare che siano il frutto di scambi commerciali tra i Sardi Nuragici e i Fenicio/Punici. I Sardi Nuragici che sicuramente avevano  già avuto contatti con i fenici in casa loro possono avere ricevuto tali oggetti come merce di  scambio per i loro prodotti esportati in Fenicia. Vi è un altro aspetto da non sottovalutare,  che non viene preso nella giusta considerazione: I POPOLI DEL MARE. Tali reperti possono essere il bottino delle razzie dei sardi nuragici, che erano parte integrante dei popoli del mare, se non addirittura capi indiscussi della coalizione. 

Tra il 1.200 e il 1.300 a.C. una coalizione di genti di varie etnie scorrazzava  in lungo e in largo nel basso Mediterraneo  e nell' Egeo. Gettarono lo scompiglio tra i popoli  coevi. Dove mettevano piede portavano distruzione e terrore. Molte città vennero rase al suolo. Tra i popoli della colazione vi erano anche i Sardi Nuragici, che con molta probabilità erano alla guida della coalizione. La logica ci impone di credere che al termine delle razzie effettuate a danno delle popolazioni di quei luoghi, abbiano portato al rientro nelle loro patrie di origine (la Sardegna per gli Shardana)  manufatti locali di qualsiasi genere razziati durante le scorrerie. Un altro aspetto che va rivisto è l' arrivo dei  Cartaginesi nell' isola. Se si da per scontato ché i Fenici siano  arrivati in Sardegna da  conquistatori e  dominatori,  dobbiamo altresì supporre che  i loro cugini Cartaginesi  al loro arrivo in Sardegna non abbiano trovato alcuna  difficoltà nel prendere possesso dell' isola, poiché i Sardi Nuragici erano stati già sottomessi.  I riscontri storici ci dicono che  i punici dovettero imporsi con la forza.  I Cartaginesi effettuarono una spedizione militare in Sardegna guidata da Amilcare e Asdrubale entrambi figli di Magone. Questa spedizione segui un' altra spedizione guidata da Malco nella quale vennero sconfitti dai sardi nuragici. La spedizione dei figli Magone  porto alla vittoria i cartaginesi che diedero inizio alla dominazione della Sardegna. Se non riuscirono a conquistare la Sardegna con facilita, deriva dal fatto che in Sardegna l’apporto antropico dei Fenici era scarso, ancora predominavano i sardi nuragici, i quali inseriti pienamente nel contesto delle città fondate dai Fenici, con il loro apporto militare riuscirono a contrastare il tentativo di sbarco dei Cartaginesi. I Punici solo  con un corpo di spedizione assai  corposo riuscirono  a sbarcare nell' isola. Come gli  storici ci raccontano  iniziarono la colonizzazione della Sardegna, ma senza mai riuscire ad averne il controllo completo di tutti i territori. La zona interna e montana   rimase sotto il controllo dei sardi nuragici che continuarono a vivere mantenendo sempre una effettiva indipendenza e autonomia. I Cartaginesi mantennero il controllo solo delle zone costiere e dell' immediato entroterra. In queste zone si formarono aggregazioni di popolazioni  miste, sardo-puniche. Tra Cartaginesi e sardi punici con il tempo i rapporti divennero stretti e vi fu  intesa e  collaborazione, tante che agirono congiuntamente per tentare di scacciare i Romani. Nelle città i due nuclei etnici si mescolavano o almeno convivevano pacificamente.  Nel periodo della coabitazione tra punici e sardi nuragici un fatto abbastanza significativo può rafforzare la mia tesi secondo cui esisteva un' entità politica, giuridica, militare ed economica autonoma rispetto a Cartagine. Tale entità era   formata da  Sardi Nuragici e Punici/Sardi. Mi riferisco alla  coniazione di monete  aventi la testa della Dea punica Tanit   nel diritto, e il nuragico Dio  toro col simbolo solare nel verso.
Moneta punica coniata in Sardegna
Una simile moneta è da considerarsi sardo-punica e espressione di entità politica autonoma rispetto a Cartagine. La coniazione delle monete era tipica di  qualsiasi entità politica autonoma e indipendente che decideva in proprio l' effige da rappresentare nei dorsi della moneta. Se le città sardo-puniche non fossero state autonome e indipendenti la moneta corrente sarebbe stata quella coniata a Cartagine. La tesi della entità politica autonoma Sardo-Punica viene rafforzata da quanto gli storici romani ci hanno tramandato in merito alla vittoria di Roma su Cartagine. Nell' antica Roma era consuetudine celebrare i Fasti Trionfali Capitolini, in onore dei vincitori di importanti battaglie. Ebbene in occasione dei Fasti Trionfali in onore di L. Cornelio Scipione il 6 di ottobre del 258 a.C. i romani lo festeggiano perché vincitore "Sui Sardi e Cartaginesi". Ciò fa supporre che Roma considerava la Sardegna  come un’entità etnica e politica ben distinta da Cartagine, e anche  che i sardi  combatterono al fianco dei Cartaginesi non come subordinati ma come alleati.
 

venerdì 11 aprile 2014

La Sardegna preistorica e nuragica fu isolata dal contesto dei popoli coevi ?

di Angelo  Vinci

Nuraghe Arrubiu Orroli
Ancora c' è chi continua a non volere  inserire la Sardegna del periodo nuragico tra le civiltà più importanti nel contesto storico antico del  Mediterraneo. Sono fermamente  convinto che la Sardegna Nuragica ebbe un ruolo insostituibile negli scambi commerciali nell' area del Mediterraneo fin da  quando tra le antiche popolazioni iniziarono a svilupparsi i primi segni di civiltà. La Civiltà Nuragica è da considerarsi   una grande civiltà. I monumenti più importanti e identificativi di questa civiltà non  trovano confronto in altre civiltà coeve alla Civiltà Nuragica. Questa peculiarità è  la conseguenza dell' isolamento culturale  della Sardegna nuragica ? Interrogativo a cui credo si possa rispondere solo con un  fermo e convinto NO.  Non si può pensare  solo per il fatto che la Sardegna essendo  un' isola geograficamente collocata al centro del Mar Mediterraneo, distante dalle altre terre,  possa essere rimasta isolata per  tanti secoli. Isolata  e non interessata ai flussi commerciali e tanto meno partecipe dei cambiamenti culturali del suo tempo. Oggi il grande bagaglio di conoscenze derivante dai numerosi rinvenimenti di manufatti nuragici fuori dall' isola ci da maggiori certezze in merito al ruolo avuto dai sardi nuragici nel contesto delle civiltà del tempo. La Sardegna fu meta di scambi fin dagli albori della preistoria. Per i popoli preistorici l' ossidiana fu un materiale ricercatissimo in quanto indispensabile per la realizzazione di strumenti di comune uso in particolare pugnali e punte per frecce. La Sardegna ricchissima di ossidiana (Monte Arci è il giacimento più cospicuo) fu per le popolazioni preistoriche dell' area Mediterranea il luogo ideale dove approvvigionarsi di ossidiana. Durante la fase di maggior sviluppo della Civiltà Nuragica i contatti e gli scambi con gli atri popoli si intensificarono. Furono particolarmente intensi e prolifici con le genti del Mediterraneo Orientale.  Creta, Rodi, Cipro la penisola Ellenica hanno restituito manufatti di sicura fattura nuragica, che attestano che vi furono contatti tra i  nuragici e le genti di quei territori. I sardi nuragici che sapevano andar per mare si spinsero fino a quei luoghi remoti dove i traffici commerciali erano molto intensi.  I  sardi nuragici intrattenevano rapporti  oltre che con il Mediterraneo Orientale anche con la penisola Italica,  la penisola Iberica e con le coste del Nord Africa, come testimoniato da rinvenimenti di ceramica nuragica a Cartagine. I contatti con le popolazioni iberiche ci vengono attestati non solo da ceramiche nuragiche rinvenute in Spagna, ma anche da manufatti in bronzo di fattura iberica rinvenuti in Sardegna: asce e spade in particolare. Per ciò che attiene ai contatti con le popolazioni della penisola Italica le maggiori attestazioni ci vengono dall' Etruria. Siamo in piena Età del Ferro e nella fase finale della Civiltà Nuragica e in questa fase  i contatti tra Etruschi e Nuragici sono molto intensi. C' è chi ipotizza che gli Etruschi non siano altro che i discendenti di gruppi di Nuragici che si spostarono dalla Sardegna verso le coste della Toscana e vi si stabilirono. E' un' ipotesi azzardata ma che mi sento di condividere.  Nelle sepolture Etrusche sono state rinvenute delle "Brocchette Askoidi" di produzione nuragica. In merito a queste brocchette si potrebbe ipotizzare che lo strato "elitario" (nelle tombe etrusche si seppellivano i morti delle classi sociali più elevate) della società Etrusca abbia accolto e utilizzato questa specifica tipologia di ceramica nuragica tipicamente adibita al contenimento del vino proprio perché persistevano reminiscenze della società nuragica di cui essi stessi erano una gemmazione. Tra Nuragici ed Etruschi di sicuro vi fu un legame molto stretto, visto il discreto numero di manufatti nuragici in ceramica e in bronzo rinvenuti nei siti Etruschi. Nelle tombe e nei santuari etruschi sono stati rinvenuti oggetti votivi di fattura nuragica: in particolare bronzetti. A ciò si potrebbe dare una sola spiegazione: praticavano gli stessi riti dei nuragici in quanto la loro progenie era nuragica. Se cosi non fosse che senso avrebbe avuto deporre nelle tombe e nei santuari oggetti votivi tipicamente nuragici. E' probabile che in Etruria vi fosse una popolazione autoctona non ancora evoluta a cui si sovrapposero gruppi di nuragici  notevolmente più evoluti dando origine alla Civiltà Etrusca. Lo storico antico Strambone ci racconta di incursioni di sardi sulle coste della Toscana e di gruppi di tirreni in Sardegna.

I rinvenimenti di ceramica micenea in particolare nel sud della Sardegna, fa pensare che i contatti con   Micene furono particolarmente intensi. Si può altre sì dedurre che tra Micene e la Sardegna nuragica i contatti  furono continui e protratti nel tempo. Che i nuragici intrattennero contatti con la penisola Iberica è testimoniato dal rinvenimento di numerosa ceramica di fattura nuragica in alcuni siti archeologi delle coste meridionali della Spagna. Particolarmente cospicui i rinvenimenti nel sito di Huelva. Buona parte di questa ceramica è ascrivibile alla tipologia dei contenitori per il trasporto di alimenti. E' quindi è da presumere che vi fosse uno scambio commerciale tra l' Iberia e la Sardegna. Con Creta e Cipro i contatti furono altrettanto stretti. Sulla costa centro meridionale dell' isola di Creta sono state rinvenute ceramiche nuragiche databili al Bronzo Recente. Sempre a Creta precisamente a Kuhanaiale Tekke (al centro dell' isola) è stata rinvenuta una brocchetta tipica dell' epoca nuragica databile al 1.000 a.C. Tutti questi rinvenimenti ci fanno capire che il popolo nuragico non rimase immobile, chiuso nei confini della propria isola senza essere parte attiva delle fasi evolutive che erano in atto nelle civiltà del tempo. Il popolo nuragico fu attivo e partecipe. La posizione geografica al centro del Mediterraneo fu uno dei punti di forza degli scambi tra i sardi nuragici e gli altri popoli, in quanto permise loro di raggiungere tutte le terre che si affacciavano sul Mediterraneo. La Sardegna nell' epoca nuragica fu il centro commerciale del mediterraneo e furono i nuragici in virtù delle notevoli risorse di cui l' isola disponeva a proporre, e  imporre le politiche di scambio commerciale. E' assai probabile che la loro flotta molto potente fosse in grado di esportare  i loro prodotti in tutto il Mar Mediterraneo.  Occorre rinnegare la tesi che prevede per la civiltà  nuragica un ruolo circoscritto ai soli confini dell' isola. Non vi è nulla di azzardato nel voler riconoscere alla Sardegna un ruolo da comprimario nel contesto delle antiche civiltà del  Mediterraneo. I sardi nuragici furono molto attivi negli scambi commerciali. Riuscirono a  entrare in contatto con tutte le popolazioni  del Mediterraneo attivando scambi commerciali e attingendo nuovi elementi culturali  e nuove tecnologie. Non è una esagerata enfatizzazione del ruolo dei sardi nuragici, ma piuttosto la logica deduzione che se ne  trae  dai tanti rinvenimenti di manufatti di sicura fattura nuragica fatti in luoghi extra insulari. La tesi che colloca i sardi nuragici ai margini del mondo di allora senza alcun interesse agli scambi culturali e economici che intercorrevano tra i popoli, ritengo  non sia sostenibile.  I nuragici esportavano prodotti quali il vino e l' olio come testimoniato dal rinvenimento in siti extra insulari (Iberia e isole dell' Egeo) di grandi contenitori tipici per la conservazione e la mescita del vino (vasi askoidi) e dell' olio (giare). Non meno importanti furono gli scambi in ambito metallurgico. Presumibilmente i primi contatti avvennero con Cipro. I ciprioti  furono i precursori della metallurgia del bronzo. Si può ipotizzare che  i mastri metallurgici del bronzo che operarono nella Sardegna nuragica appresero "l' arte" proprio dai ciprioti nel corso della frequentazione dell' area egea.

Tomba etrusca
La stessa struttura architettonica a pseudo cupola delle tombe etrusche può essere derivata dalla tholos dei nuraghi. Ciò che occorre affermare è che i sardi nuragici non rimasero chiusi nel loro mondo delimitato dalle coste della loro isola, ma solcarono il mare alla ricerca  nuovi contatti con le genti di altri popoli. La quantità e le diverse tipologie delle riproduzioni di navicelle nuragiche fateci pervenire dal popolo nuragico ci danno una conferma in tal senso. Le navicelle documentano che tra i nuragici e il mare il rapporto era molto stretto. La Civiltà Nuragica non va vista come una civiltà minore insignificante, che non ha avuto ne "arte ne parte" nel novero delle antiche civiltà. La storia della Sardegna protostorica va letta accantonando lo stereotipo del sardo nuragico poco evoluto immerso in una società di tipo tribale refrattaria ai contatti con gli altri popoli e ai mutamenti culturali del proprio tempo. La Civiltà Nuragica va inserita tra le grandi civiltà antiche riconoscendogli un ruolo di primo piano.





giovedì 3 aprile 2014

La metallurgia nella Sardegna preistorica e protostorica

di Vinci Angelo


Panella di rame Oxhide
La  Civiltà Nuragica nasce e si sviluppa in Sardegna in piena Età del Bronzo e termina nell' Età del Ferro. Le popolazioni sarde nuragiche vivono appieno queste due fasi. La Sardegna è una terra geologicamente molto antica formatasi circa cinquecento milioni di anni fa, in pieno Cambriano Inferiore nell' era geologica Paleozoica. I giacimenti minerari di cui la Sardegna è particolarmente ricca si sono formati già dal quel momento. Nel periodo nuragico in Sardegna la produzione di oggetti in metallo (bronzo in particolare) è consistente sia dal punto di vista della quantità che della qualità e ciò ci ha permesso di capire almeno in parte quale era l' economia nella Sardegna nuragica. In epoca nuragica gli oggetti di uso quotidiano e le  armi erano realizzati da prima in bronzo e poi in ferro. Il bronzo fu impiegato anche se in misura minore anche nell' età del ferro. La Sardegna è assai ricca di giacimenti minerari. L' attività estrattiva ha avuto un ruolo importante in ogni epoca. Fino a non molto tempo fa  erano attive molte miniere sparse su tutto il territorio isolano. I distretti minerari più importanti in termini di dimensione dei bacini metalliferi, si trovano a Iglesias/Monteponi  a Arbus/Ingurtosu e Guspini/Montevecchio. I minerali maggiormente estratti sono stati la galena (da cui si ricava il piombo) e la blenda (la sfalerite o blenda è il minerale dal quale si estrae  lo zinco). Il nome “galena” deriva dal greco “γαλήνη" che significa  mare calmo. Il primo a descriverlo come minerale di piombo fu  Plinio il Vecchio. In alcuni filoni la galena presenta una discetta quantità di argento. Anche la presenza di minerali del ferro non è scarsa. Una miniera in particolare risulta sfruttata già in epoca nuragica. Si tratta della miniera di Funtana Raminosa situata nel comune di Gadoni. I filoni di calcopirite (minerale da cui si ricava il rame) di cui era ricca questa miniera ne hanno permesso lo sfruttamento per lungo tempo. Quando ci riferiamo all’ attività mineraria preistorica, non dobbiamo pensare che tale attività abbia contemplato lo scavo di profondi pozzi o gallerie, come  è avvenuto in epoche posteriori. In quelle remote epoche si “grattava” la superficie terrestre o al massimo si scavavano piccole buche per estrarre i minerali da cui ricavare i metalli. In epoca preistorica allorché l’ uomo comincio a far uso del primo metallo (che fu il rame) si sgretolava la crosta terrestre con il calore. Ciò avveniva accendendo dei fuochi che scaldavano il terreno. Questo era un  procedimento  che partendo  da basse temperature  eliminava in parte o totalmente lo zolfo presente nel minerale . Poi con getti d’ acqua si riduceva il minerale da pirite a solfuro di ferro. Nella fase successiva avveniva la separazione del rane per poi effettuarne la   triturazione  e la  fusione. Erano le fasi embrionali della metallurgia che i nostri avi praticavano. Tutto il lavoro di “cava” veniva effettuato con strumenti di pietra. Alcuni di questi strumenti sono sati rinvenuti in antiche miniere. 
Forno fusorio

Il lavoro propriamente di miniera  era abbastanza elementare. Il metallo che se ne ricava nella fase di triturazione e fusione certamente non presentava caratteristiche di purezza eccezionali. Ma ciò che era importante è che andava a sostituire i manufatti in materiale litico fragile e di non facile lavorazione fino ad allora impiegato nella manifattura di utensili e armi. Il rame fu a lungo il metallo più usato (se non l’ unico) dalle genti preistoriche. Fu sostituito nell’ uso prevalente dalla lega di stagno e piombo: il bronzo. Il periodo storico in cui  fu prevalente l’ uso del bronzo viene indicato come Età del Bronzo. La prima operazione per ridurre le rocce metallifere (precedente frantumate) in metallo era la fusione riducente. Veniva effettuata in un forno in cui raggiungendo la temperatura adeguata con la combustione del carbone si riusciva a separare il metallo dagli altri elementi. Da questa lavorazione venivano ricavati dei lingotti o panele del metallo fuso. La disponibilità dei lingotti consentiva ai nostri antenati mastri metallurgici di realizzare  svariati oggetti,  dalle armi agli oggetti di uso quotidiano. La realizzazione avveniva mediante la rifusione del metallo e la colata del metallo fuso in matrici appositamente preparate. Sono molto interessanti le matrici in steatite rinvenute presso l’ insediamento nuragico di San Luca a Ozieri. Ciò che colpisce nell’ osservazione di queste matrici è la straordinaria precisione della realizzazione. La maestria di chi le realizzo era notevole. Allo stato attuale delle ricerche in Sardegna non è stato rinvenuto nessun forno per la fusione riducente (primaria) di epoca preistorica. Ma ciò non nega che tali forni siano sati utilizzati dalle popolazioni preistoriche sarde. Una prova indiretta e inequivocabile sono il rinvenimento di scorie di fusione e  i crogioli in argilla. Nell’ area archeologica dell’ altare preistorico di Monte d’ Accoddi (nelle immediate vicinanze di Sassari) sono sati rinvenuti due crogioli a cucchiaio (databili alla seconda meta del IV millennio a.C.  Età del Rame). Mentre riferibili all’ epoca nuragica sono alcuni frammenti cupridi,  lingotti Oxhide (a pelle di bue) rinvenuti nei due siti archeologici di Baccus-Simeone e Santu Antiogu nel comune di Villanovaforru. Da rimarcare che il rame di questi lingotti è combattibile con il rame dei giacimenti di Domusnovas (Iglesiente). Questo aspetto dimostrerebbe che non tutto il rame veniva importato ma che in parte si sopperiva con le risorse dei giacimenti sardi. I forni fusori per la fusione riducente erano di piccole dimensioni. Venivano in parte scavati nel terreno con una struttura in pietre che veniva poi ricoperta da argilla per ottenere un buon isolamento termico. L’ aria per la combustione veniva immessa tramite degli ugelli di terracotta. Era un sistema di fusione assai arcaico che non permetteva di ottenere alte temperature, ma che comunque permetteva di fondere il rame (temperatura fusione 1.083 °C). Quando gli uomini preistorici iniziarono l’ attività metallurgica, fu proprio   il rame il primo metallo a essere lavorato in modo intensivo. Con molta probabilità ciò avvenne perché è un metallo che si trova negli strati superficiali della crosta terrestre. Non era necessario scavare pozzi o gallerie profonde. Bastava “grattare” il terreno o fare piccole buche. La Sardegna  ricca di rame  svolse un ruolo attivo nel contesto  dello sviluppo di quella che era la metallurgia preistorica e protostorica nel Mediterraneo Occidentale. Le popolazioni della Sardegna preistorica avevano a disposizione  i giacimenti affioranti del Cambriano (epoca geologica) ricchi di minerali. Dalla Galena si ricavavano piombo e argento (l' argento in quantità  limitata).

Dai solfuri e ossidati di rame si ricavava il rame. Solfuri e ossidati di rame erano particolarmente presenti a Funtana Raminosa presso Gadoni e Sa Duchessa a Domusnovas. Probabilmente questi giacimenti fornirono una buona parte del rame per il fabbisogno dell’ intera isola, Perlomeno nel primo periodo di sfruttamento di questa risorsa mineraria. Nella Sardegna preistorica l' argento fu sicuramente utilizzato fin dagli albori della metallurgia, ma vista la esigua disponibilità fu utilizzato poco. I più antichi manufatti in metallo rinvenuti in Sardegna sono in argento e rame. Sono sottili e di piccole dimensioni. Si tratta di  spilloni, lesine, punteruoli e oggetti vari per l’ ornamento della persona. Tra gli oggetti per l’ ornamento della persona sono di particolare interesse due elementi di collana rinvenuti nella necropoli di Pranu Matteddu a Goni. Sono da riferire alla cultura di Ozieri (Neolitico Finale). Fino all’ inizio del II° millennio a.C. il metallo fu utilizzato per la realizzazione di oggetti simbolo dello status quo dei personaggi più eminenti della comunità. Tali oggetti erano prevalentemente armi e ornamenti. Anche in Sardegna i corredi presenti nelle sepolture databili a quel periodo hanno confermato ciò. Nella Sardegna preistorica e protostorica un metallo fu utilizzato raramente: l’ oro. Sono rarissimi i rinvenimenti di oggetti  in oro. I pochi oggetti rinvenuti e da presumere che siano stati importati o dai sardi come merce di scambio nei rapporti commerciali con altri popoli coevi, oppure  sono stati portati da  qualche “straniero” arrivato sull’ isola. Tra i rari rinvenimenti di oggetti in oro è indubbio che il più rilevante per bellezza e qualità e quello fatto a Gonnostramatza. Nella tomba megalitica di Bingia e Montis è stato rinvenuto un collier in oro e argento di pregevole fattura. Dovrebbe appartenere alla Cultura del Vaso Campaniforme (fine Età del Rame). L’ oro non è mai stata una risorsa mineraria della Sardegna. Non  è mai stato trovato allo stato nativo sotto forma di pepite, grani e pagliuzze nelle rocce e nei depositi alluvionali. L’ unica attività di miniera a cielo aperto per estrarre oro dalle rocce fu fatta tempo fa nel comune di Furtei con scarsi risultati, ma con uno scempio ambientale enorme. Nella Sardegna protostorica lo sviluppo maggiore della metallurgia si ebbe quando si inizio l’ alligazione (Operazione metallurgica con la quale si prepara una lega di metalli) del rame con lo stagno. Il risultato fu l’ ottenimento del bronzo. Fu questo un periodo in cui si introdussero gli oggetti in bronzo in ogni ambito della vita quotidiana. Il vantaggi che il bronzo offriva sia in termini di praticità che estetica erano notevoli. La maggior durezza rispetto al rame garantiva una più lunga durata degli oggetti e maggior versatilità nell’ impiego. Si realizzarono oggetti come le zappe, gli scalpelli, le seghe e le asce che grazie alle doti di robustezza del bronzo permisero di affrontare alcune attività in modo più proficuo e con minor dispendio di energie. Tra queste il taglio e la lavorazione del legname, la lavorazione delle pietre e il lavoro agricolo. Non da meno furono i vantaggi nella produzione delle armi. Le spade, i pugnali e le punte delle lance divennero più resistenti. In quel periodo storico le uniche vere armi di difesa/offesa nel combattimento frontale uomo contro uomo, erano il pugnale e la spada. La maggiore affidabilità e la maggior efficacia a seguito dell’ impiego del bronzo furono importanti per il sistema difensivo. Per produrre il bronzo occorreva disporre di rame e di stagno. La disponibilità del rame era abbondante ma non sufficiente a coprire il fabbisogno (nella lega rame-stagno il rame è presente in percentuale maggiore rispetto allo stagno) e quindi vi fu una importazione da distretti extra insulari. Per ciò che attiene allo stagno, l’ unica concentrazione significativa di cassiterite (minerale dello stagno) apprezzabile presente in Sardegna è quella che si trova a Perdu Cara sul Monte Linas. E’ quindi da presupporre che la quasi totalità dello stagno venisse importato. Con molta probabilità dalla Bretagna o dalla Cornovaglia dove era maggiormente disponibile. Nell’ Italia peninsulare l’ unico giacimento di cassiterite si trova in Toscana a Monte Valerio.  Giacimento che fu sfruttato anche  dagli Etruschi. Da presupporre che anche da questo luogo arrivasse una parte dello stagno. Ciò è plausibile se si considera che la frequentazione tra Etruschi e  Nuragici è pressoché certa. Quando in epoca nuragica si introdusse la produzione di oggetti in bronzo, ne venne ampliata la tipologia e di pari passo subirono un notevole effetto migliorativo sia l’ accuratezza dei particolari  che la precisione delle forme. I mastri metallurgici acquisirono maggior maestria nel forgiare il bronzo probabilmente acquisendo nuove tecniche di lavorazione dalla frequentazione delle popolazioni cipriote e  cretesi,  che avevano iniziato la metallurgia del bronzo prima delle genti nuragiche. La Sardegna che sviluppo la grande Civiltà Nuragica caratterizzata da un assetto sociale dinamico e complesso, e altresì capace di esercitare forme di controllo del territorio elaborate, produsse un' attività metallurgica raffinata e prolifica. I nuragici furono in grado di inserirsi nei circuiti della metallurgia del bronzo nell’ area del Mediterraneo e dell’ Egeo, importando stagno e rame ma probabilmente esportando manufatti. Che vi fossero circuiti di scambio di materie prime per la metallurgia e di prodotti finiti in metallo  tra i popoli coevi delle succitate aree è attestato  dal rinvenimento di due relitti di navi presso le coste sud occidentali turche. Il naufragio dovrebbe essere avvenuto sul finire del XIV o del XIII secolo a.C.. Questi relitti  hanno  destato enorme interesse per la quantità e la qualità del carico. Si tratta di un carico variegato, composto da centinaia di lingotti “Oxhide” di rame, e lingotti a “Panela” sia di rame che di stagno, da una considerevole quantità di oggetti in bronzo: armi, contenitori di varia forma, utensili vari e arnesi tipici per la lavorazione del metallo. Nel carico erano presenti anche altri oggetti vari di materiale diverso dal bronzo  probabilmente provenienti da varie parti del Mediterraneo o dello stesso Egeo. La composizione del carico ci fa capire che sicuramente operava una flotta che trasportava i prodotti metallurgici in vari luoghi. Si può ipotizzare che le due navi stessero effettuando consegne di prodotti finiti della metallurgia, e nel contempo ritirassero le materie prime: rame e stagno. Ipotesi sostenibile data la contemporanea presenza di manufatti in bronzo e lingotti sia di rame che stagno, che presupporrebbe che fosse in uso lo scambio commerciale del tipo: ti do stagno e rame in cambio di manufatti in bronzo. Plausibile dato che il baratto era tipico nel commercio di quei periodi. La produzione “bronzea” abbraccio tutti gli ambiti  della vita quotidiana del popolo nuragico. Dall’ arte all’ agricoltura, alla realtà domestica, alle armi. Per la forgiatura del bronzo si realizzarono molle, palette, mazzuoli e martelli. In ambito domestico si realizzarono sostegni tripodi per la cottura dei cibi, recipienti di varia forgia, spilloni fibule. I sardi nuragici divennero dei bravi artigiani metallurgici, apprendendo nuove tecniche per la forgiatura del bronzo. E’ indubbio che la frequentazione di altri popoli coevi abbia contribuito al miglioramento dei metodi di lavorazione del bronzo, ma è altrettanto vero che i nuragici si distinsero nell’ arte figurativa con le figure in bronzo note come “Bronzetti”. Quest’ aspetto lo tratterò più avanti. Che tra i nuragici  e le popolazioni dell' area egea vi siano stati contatti, è testimoniato da reperti attribuibili al popolo nuragico  rinvenuti a Cipro e  Creta. Nel sito di Pyla-Kokkinokrenos  a Creta e nel porto di Krommòs a Cipro, sono state rinvenute ceramiche di fattura nuragica. Come datazione sono da  riferire  al Bronzo Recente le ceramiche rinvenuta a Creta e al Bronzo Finale quelle di Cipro. Come già accennato l’ arte figurativa con l’ avvento del bronzo subì un notevole impulso migliorativo per ciò che attiene la qualità e la varietà dei soggetti raffigurati.
Bronzetto nuragico
La tecnica adottata dagli antichi artigiani del bronzo fu quella della “CERA PERSA”. E’ una tecnica semplice ma efficace. Consisteva  nella realizzazione della figura che si intendeva realizzare mediante l’ utilizzo della cera. In seguito la figura in cera veniva ricoperta di argilla e cotta. Durante la cottura la cera si scioglieva e i vuoto lasciato veniva colmato con del bronzo fuso introdotto tramite un imbuto di colata che era parte integrante della matrice in terracotta. Quando la colata era raffreddata veniva frantumata la terra cotta rendendo disponibile la figura in bronzo. Semplice ma efficace. Ovviamente venivano tagliati l’ imbuto di colta e il canale di sfiato. Una testimonianza di questa particolare forma della metallurgia nuragica ci viene dal villaggio-santuario di Santa Anastasia presso Sardara dove è stata individuata un' officina metallurgica, in cui sono stati rinvenuti crogioli e resti di matrici in terracotta per la realizzazione di oggetti in bronzo con la tecnica della cera persa. Con questa tecnica furono realizzati i bronzetti e sicuramente anche altri oggetti di ridotte dimensioni e di uso comune nella vita quotidiana, quali spilloni, punzoni piccole palette. La galena da cui si ricava il  piombo in Sardegna è sempre stata abbondante. Fino a tutti gli anni sessanta del secolo scorso l’ attività estrattiva di questo minerale ha marciato a pieno regime. Buona parte del fabbisogno nazionale veniva coperto dalle miniere sarde. I siti più importanti e significativi erano: Buggerru, Monteponi, Ingurtosu (a cui sono particolarmente legato in quanto vi ho trascorso la mia infanzia), Montevecchio e Argentiera (sito dove la presenza di argento nella galena era maggiore). Il piombo fonde a temperature relativamente basse: 327 °C.  Il piombo non fu utilizzato in modo massiccio dalle genti nuragiche. Lo  scarso utilizzo  rispetto al rame e al bronzo è certamente dovuto al fatto che è un metallo molto “tenero”  con elevata
duttilità  e malleabilità. Caratteristiche che ne rendevano facile la forgiatura, ma non compatibili con la realizzazione di armi, contenitori e arnesi da lavoro.  A Troia, a Tirinto a Creta sono stati ricuperati molti oggetti di piombo di varia specie. In epoca nuragica  il piombo veniva usato spesso per la realizzazione di grappe per “cucire” i vasi in ceramica danneggiati. Il distretto minerario dell’ iglesiente è sempre stato importante perché assai ricco di vene metallifere di galena e blenda. In età post nuragica fu sfruttato intensamente dai punici e dai romani.  I romani gli diedero  il nome di Metalla. La Civiltà Nuragica continuo il suo sviluppo anche quando si inizio a usare un nuovo metallo: il FERRO. La transazione dal bronzo al ferro non fu brusca. Per un certo periodo si continuarono ad usare anche armi e oggetti in bronzo in quanto la metallurgia del ferro si stava affinando. Durante l'età del ferro, i migliori utensili e armi erano fatti d'acciaio, una lega costituita da ferro e carbone. La produzione di ferro acciaioso con le modalità del tempo era difficile da realizzare e si preferiva spesso realizzare armi e oggetti vari in ferro battuto. 
Spada punta lancia scalpello in bronzo
Il Ferro rispetto al bronzo è meno tenace, ma di contro la lavorazione risulta più facile. Spade pugnali, punteruoli scalpelli risultavano più resistenti e facilmente affilabili. I minerali da cui si ricava il ferro (amanite, siderite, magnetite) sono molto diffusi e si trovano praticamente ovunque sulla terra. Nonostante ciò l’ uso del ferro tardo a imporsi rispetto agli altri metalli. Principalmente fu dovuto al fatto che le popolazioni preistoriche e protostoriche non riuscirono nei forni  fusori a  raggiungere la temperatura di fusione del ferro: 1.540 °C.  Il ferro quando si inizio ad usarlo veniva ricavato mediante la riduzione di ossidi di ferro in forni fusori che la massimo potevano raggiungere temperature di 1.100-1.150 °C. Il risultato della fusione era una massa spugnosa che in seguito veniva lavorata mediante martellamento per renderla più compatta. Per rendere il ferro più tenace del bronzo venivano aggiunti ulteriori processi metallotecnici e termotecnici che ne innalzavano ulteriormente la "durezza". La cementazione veniva fatta per innalzare il tenore di carbonio e rendere più acciaioso il ferro. La tempra serviva a rendere più resistenti le parti soggette al maggior lavoro e usura. Chiaramente erano tutti processi metallurgici che si avvalevano dei mezzi e delle conoscenze del tempo. E' da presumere che come avvenne per il bronzo anche per il ferro i sardi nuragici  appresero la tecnica metallurgica a seguito della frequentazione  con le popolazione dell' area egea. Finita la grande Civiltà Nuragica, tutti coloro che nei secoli a venire presero possesso della Sardegna ne sfruttarono le grandi risorse minerarie. Punici, Romani, Bizantini, Pisani  e Spagnoli. In epoca recente grandi sfruttatori delle risorse minerarie sarde furono gli Inglesi e  Francesi.