venerdì 27 dicembre 2013

La Sardegna dopo gli Aragonesi e gli Spagnoli nel settecento passa sotto altri dominatori.

di: Angelo  Vinci                                                                                       

Regno di Sardegna nel 1.720 sotto i Savoia
Dopo quattro secoli dalla fine dei Giudicati, che furono per la Sardegna l' unico periodo di piena indipendenza, inizia un nuovo periodo assai travagliato che ha come live motive  il continuo cambio di padroni. Padroni è un brutto termine, ma la Sardegna fu considerata specie nei primi anni del settecento come merce di scambio. Tutti i passaggi di mano ebbero inizio a seguito della guerra di successione al trono Iberico. Nel primo ventennio del 1700 passo di mano ben tre volte: Impero Asburgico, Regno di Spagna e infine Principato di Savoia. Non è che questo sia avvenuto solo in Sardegna. In quel periodo storico  si scambiavano i possedimenti con facilità senza curarsi minimamente dei disaggi procurati alle popolazioni. I Savoia  poterono fregiarsi del titolo di Re proprio in virtù di uno scambio. In Spagna la guerra per il trono inizio quando mori Carlo II l' ultimo discendente degli Asburgo del ramo spagnolo. Carlo II non lascio  eredi ma  designo  suo erede Filippo di Borbone duca d' Angiò e nipote di sua sorella. Carlo II era sopranominato "lo stregato" in quanto la sua salute cagionevole la imputavano ad una "fattura". In realtà era il risultato dei matrimoni tra consanguinei assai frequenti nella casata degli Asburgo . Questa consuetudine  era finalizzata ad evitare che i possedimenti della casata non si frazionassero troppo tra diversi proprietari. A dire il vero era una pratica in uso in tutte le  casate regnati ma tra gli Asburgo è assai abusata. Un aspetto importante relativo alla designazione di Filippo fu la clausola posta da Carlo II che prevedeva  la  rinuncia da parte di Filippo al trono di Francia.
Carlo II di Spagna
La designazione di Filippo sollevo  timori nelle  potenze europee del tempo: Austria, Olanda, Inghilterra, Portogallo e Principato di Savoia. Questi timori spinsero queste potenze a  coalizzarsi. Carlo d' Asburgo nel 1703 a Barcellona si fa proclamare Re di Spagna. La Sardegna come visse questo periodo ?. La guerra di successione al trono iberico al contrario di quanto avvenne altrove, non vide la Sardegna e il suo territorio interessata ad operazioni militari degne di essere menzionate. No altrettanto si può dire sul piano politico-sociale  economico. L' economia conobbe un periodo di difficolta legata soprattutto a blocco navale posto in atto dagli alleati anglo-austriaci. Questo blocco accentuo maggiormente le difficolta di collegamento verso l' esterno già precarie di perse in conseguenza dell' insularità.  In Sardegna la guerra di successione venne vissuta dalla nobiltà in modo diverso e si  crearono   due fazioni che si schierarono a favore dell' una o dell' altra parte. Le due fazioni facevano capo una alle famiglie Aymerich e Castelvì che sosteneva Filippo V, mentre l' altra faceva capo alla famiglia Aragon e al marchese di Villasor e sosteneva Carlo d' Asburgo. Nella popolazione aumentò  il senso di frustrazione e di rabbia per le vessazioni a cui era sottoposta. La Sardegna nell' anno 1708 passa in mano austriaca dopo che un furioso bombardamento navale  operato da una flotta anglo/olandese comandata dal britannico Laeke permise all' imperatore  austriaco di annettere  anche la Sardegna. Questo nuovo stato di cose e  la presenza a Cagliari del nuovo viceré austriaco, fa fuggire in Spagna tutti coloro che avevano appoggiato Filippo V re di Spagna. La maggior parte di questi esuli forzati era costituita da nobili o maggiorenti delle citta. Guidati da Vincenzo Bacallar tentarono di scacciare gli austriaci con lo sbarco di una flotta nei pressi di Olbia ma il tentativo falli miseramente. Nei successivi cinque anni la Sardegna non è al centro ne di operazioni militari ne di operazioni di scambio di territori tra i regnanti europei. Il malessere delle popolazioni locali nonostante ciò non si attenuo, ma al contrario aumento. Riprese  a rinvigorirsi  un fenomeno che già dai primi anni del secolo aveva iniziato a destare preoccupazione. Questo fenomeno era il banditismo. Il banditismo fu un fenomeno sociale negativo già nel periodo giudicale. Il tale periodo vi fu una riduzione del fenomeno solo durante la reggenza della giudicessa Eleonora d' Arborea, la quale riuscì ad attuare un maggior controllo delle zone rurali  aiutata anche dall' emanazione di un codice di leggi la "Carta de Logu" ,  che introduceva pene più severe per i furti, e le rapine: IS FURAS . Vorrei spendere due parole per descrivere il fenomeno del banditismo nella Sardegna medievale e post medievale. Occorre partire  da un' analisi della società rurale di quei tempi, per capire il perché fu un fenomeno  difficile da combattere. Alle radici del banditismo e delle varie forme di criminalità diffuse nelle campagne stavano motivi di ordine economico, sociale e culturale che non potevano essere eliminati con l'intervento militare, con gli arresti, con le condanne penali. Nelle popolazioni rurali era  radicata l'idea che la figura del bandito, fosse quella del  vendicatore di ogni torto e vessazione subita ad opera dei nobili e dei potenti. Accadeva talvolta che i banditi venissero quasi protetti dalla popolazione che in loro vedevano un mezzo per far pagare ai nobili e ai  potenti i torti subiti. In effetti il bandito tendenzialmente eseguiva i propri atti "fuorilegge" più verso i nobili e i potentati,  che verso la povera gente. La prepotenza che i singoli feudatari e i signorotti perpetravano sistematicamente nei confronti della popolazione non aveva limiti. Non dobbiamo dimenticare che il feudalesimo in concomitanza di uno stato di povertà assoluta e diffusa, esponeva la povera gente maggiormente ai soprusi e alle angherie dei feudatari. Ma tralasciamo il fenomeno del banditismo e continuiamo esporre la situazione della Sardegna durante questi continui cambi di "proprietà". Gli austriaci  divennero  i possessori dell' isola sarda, e si potrebbe pensare che apportarono cambiamenti significativi nella politica, nell' economia e nella cultura. Assolutamente no. I sardi quasi non si accorsero nemmeno del cambio di "proprietà". Una cosa però a onore del vero l' austriaco dominatore fece: aumento la pressione fiscale e l' esportazione del grano facendo diminuire la disponibilità di questo prezioso bene alle categorie sociali meno abbienti. Il sistema di governo non muto, rimasero gli Stamenti e la Reale Udienza. Una novità fu l' istituzione di una nuova figura istituzionale:  l' Intendente Generale per la finanza e l' economia. In tema di tasse fu introdotto il sistema dell' esazione delle tasse a mezzo di "appalti" affidati a privati. Venne introdotta una tassa sul tabacco la "gabella del tabacco". Il tabacco era una coltura agricola preminente (come lo fu fino al secolo scorso) specie nel Sassarese. Questa fu una tassa di impronta coloniale. Altro fatto nuovo fu la creazione della Regia Azienda del Tabacco con sede ad Alghero dove veniva lavorato, conservato e se ne effettuava la vendita. Questo luogo veniva chiamato "Estanco" o "Stancu". Ancora oggi in lingua sarda la rivendita dei tabacchi viene indicata con "Stangu" o "Istancu". Con questo assetto la Sardegna rimase sotto il controllo degli austriaci fino al 1717. Nel Luglio di  questo anno la Spagna si riprese la Sardegna con una spedizione navale che sbarcata nei pressi di Quartu, si attesto poi sul colle di Monte Urpinu e assedio il castello di Cagliari. Gli austriaci sottoposti ad un continuo e sostenuto bombardamento capitolarono. Il viceré lascio Cagliari assieme a buona parte del suo entourage. Fini ingloriosamente la dominazione austriaca della Sardegna da parte degli Asburgo d' Austria. La Spagna dunque riconquisto la Sardegna con una riuscita operazione militare con il chiaro intento di tenersela a lungo. Anzi le intenzioni del sovrano iberico erano di più ampio raggio: unire Sardegna e Sicilia al regno di Spagna. L' ideatore e l ' artefice della riconquista della Sardegna fu il Cardinale Alberoni. Tra i piani dell' Alberoni la riconquista della Sardegna non era  fine a se stessa, ma piuttosto doveva fungere da ponte per truppe spagnole destinate alla campagna militare siciliana. Immediatamente dopo la conquista di Cagliari gli spagnoli inviarono nell' isola sarda un cospicuo contingente militare. Buona parte delle truppe dopo  una breve permanenza in Sardegna fu inviata in Sicilia per tentarne la conquista. Non furono giorni felici per la Sardegna. l soldati spagnoli durante la permanenza nell' isola si lasciarono andare ad ogni tipo di nefandezze e angherie nei confronti della popolazione specie nell' entroterra di Cagliari. La popolazione che aveva dovuto sopportare gli austriaci fu costretta a vivere un' ulteriore periodo di soprusi da parte dei soldati iberici i quali oltre alle violenze dirette alla persona depredavano i villaggi. A tutto ciò si aggiunsero nuove tasse che aggravarono ancor più la situazione economica della popolazione. Venne istituita una tassa  sugli atti pubblici che obbligava l' utilizzo della carta bollata negli atti pubblici. Il popolo sardo ormai si stava  rassegnando al nuovo corso imposto dal neo "padrone", quando ecco che si prospetta un nuovo cambio di proprietà. Nel 1718 esattamente il 2 di Agosto a Londra venne siglato un accordo che impegnava la Spagna alla restituzione della Sardegna all' impero Austriaco i quali  si impegnavano a "girarla"   ai Savoia. Quanta poca considerazione per gli abitanti della Sardegna. Veniva  usata una popolazione come fosse un oggetto che  si passava di mano in mano incuranti degli sconvolgimenti che simili operazioni apportavano nel territorio. I Savoia a seguito di questa operazione poterono fregiarsi del titolo di Re di  Sardegna (fino ad allora erano dei principi). Per la Sardegna fu l' inizio della dominazione sabauda che duro per 140 anni.   Il primo Re di Sardegna fu Vittorio Amedeo II. Nel trattato di Londra i Savoia sottoscrissero una regola che li impegnava a non modificare nulla dell' aspetto politico e sociale dell' isola. Purtroppo per i sardi mantennero l' impegno almeno per i primi 60-80 anni. Qualche forma di riformismo di cui parlerò più avanti inizio a vedersi poco oltre la meta del 1700. L' arretratezza della Sardegna era atavica e si protraeva dalla fine del periodo giudicale. Durante la dominazione aragonese non si ebbe alcun sviluppo ne sotto l' aspetto produttivo ne sotto quello sociale, fu insediata da parte aragonese una forma di feudalesimo esasperato che teneva la popolazione nella miseria e nell' arretratezza assoluta, asserviti totalmente ai nobili feudatari. Furono anni in cui la nobiltà arrivata dalla penisola iberica durante il possesso spagnolo dell' isola, prese possesso di quasi tutto il territorio isolano. Vi è da dire che Amedeo II accetto a malincuore il possesso della Sardegna (aspirava alla Toscana) e impegno ben poche risorse nell' isola, come pure fecero per lungo tempo i suoi successori. Credo non sia azzardato affermare che nei primi decenni i Savoia governarono la Sardegna con metodo colonialistico. La Sardegna con i suoi 24.000 Kmq è una regione assai estesa.  Quando passò sotto i Savoia contava appena 300.000 abitanti. Il territorio isolano prevalentemente montuoso presentava scarsa viabilità per la mancanza di un sistema di strade adeguato specie nelle zone interne. Questi aspetti non permettevano di certo un controllo adeguato del territorio,  e rallentavano  la movimentazione delle merci. Occorrerà aspettare Carlo Felice per vedere la nascita di una strada che collega in modo adeguato il nord con il sud della Sardegna. Negli anni che seguirono la società sarda fu caratterizzata da una staticità sociale e produttiva e un progressivo impoverimento. Il persistere del feudalesimo di certo fu la causa di questo stato, e non vi era nessuna intenzione ad abolirlo. Era un feudalesimo ben radicato, oserei dire "robusto" i feudatari avevano acquisito tanti e tali privilegi che mai avrebbero accettato di  rinunciarvi. I regnanti di casa Savoia trovarono la società sarda retta da un sistema feudale di stampo medievale e pensarono che non era il caso di apportare modifiche che avrebbero inevitabilmente visto i vecchi feudatari contrapporsi ai Savoia. Il feudatario sardo era un piccolo "Rex i regno suo" come erano soliti dire gli aragonesi che permettevano loro di governare il feudo quasi in autonomia. Ciò che importava è che riscuotessero le tasse. In questo stato di disaggio chi se la passava peggio erano gli abitanti dei villaggi, mentre gli abitanti delle città se la passavano meglio. Si diceva  in quei tempi, con veracità o meno che i cittadini vivevano a sbaffo degli abitanti delle campagne. Il feudatari di rado abitavano in campagna preferivano le città dove vi era il palazzo storico della famiglia. Nelle città oltretutto potevano mantenere i rapporti con le altre famiglie patrizie. Le dimore rurali venivano utilizzate  saltuariamente per brevi soggiorni. Il feudo veniva amministrato da due persone di fiducia del signore feudatario: il Podatori e il Reggidori. Il Podatori si occupava della parte economica, mentre il Reggidori dell' amministrazione della giustizia. Queste due figure godevano di un alto prestigio all' interno del feudo. Per il controllo delle campagne vi era un "esercito rurale" costituito da  tante compagnie disseminate in ogni villa o come venivano chiamate in lingua sarda "Biddas". Tali compagnie erano costituite da uomini scelti tra gli abitanti delle ville e dovevano avere grande abilita nel maneggio delle armi. Queste compagnie venivano chiamate Compagnie Barracellari. A esse veniva affidata la sorveglianza delle campagne in particolar modo il controllo dei furti di bestiame. Ancora oggi in tantissimi paesi della Sardegna operano le Compagnie Barracellari. La società feudale come già avveniva in epoca spagnola era suddivisa in classi sociali ben distinte. Ovviamente all' ultimo posto vi erano i contadini, i pastori, gli artigiani, ossia il cosiddetto "popolino". Al vertice della scala c' era il feudatario, subito dopo i nobili distinti tra nobili detentori di   titolo nobiliare e nobili la cui nobiltà era stata "acquistata", quindi venivano i cavalieri. Sia i nobili che i cavalieri potevano fregiarsi del titolo di "Don" (contrazione del latino dominus= signore o padrone). Accadeva che talvolta nelle ville (Biddas) vi erano dei cittadini che pur non possedendo alcun titolo di nobiltà erano assai più facoltosi dei nobili, per così dire "patentati". Erano pastori o agricoltori che con grande capacita e intraprendenza  erano riusciti ad accrescere in misura considerevole il loro patrimonio. Furono essi i fautori del seppur minimo cambiamento  del sistema produttivo di stampo feudale, ed è sempre  da loro che nacque il malcontento che sfocio nelle sommosse alla fine del 1700. La loro contrapposizione alla nobiltà si manifestò  fu sia sul piano economico che sociale. Venivano chiamati "Principales", termine ancora oggi in uso nel' isola per indicare i datori di lavoro "Su Prinzipale". I tributi che la popolazione doveva pagare erano sempre più esosi e il malcontento montava sempre più tra i ceti sociali "bassi". Quali erano i tributi dovuti dalla popolazione ?. I tributi erano divisi in tre categorie: reali, giudiziali e personali. Ogni vassallo se usava o possedeva (nel caso dei Principales) la terra per uso agricolo o per il pascolo del bestiame, era tenuto al pagamento del TRIBUTO REALE. Mentre per il solo fatto di abitare nel territorio del feudo era tenuto a a pagare una sorta di tassa di soggiorno ossia il TRIBUTO PERSONALE. Poi vi era  il TRIBUTO GIURIDIZIONALE che veniva pagato per tutti i servizi pubblici che il feudatario offriva al vassallo. Questi tributi che vessavano il vassallo, dovevano essere ben indicati nell' atto di infeudazione e il feudatario non poteva esigere altri tributi. Talvolta con arroganza e sfrontatezza qualche feudatario "inventava" altri tributi. La vessazione con il carico di tributi era assai pesante,. Coloro che maggiormente  subivano questo stato  erano i contadini, i pastori e gli artigiani. Fu una situazione che generava sempre più insofferenza tra la popolazione.  
Lorenzo Bogino
A dire il vero qualche lento cambiamento  si ebbe quando sulla scena sarda arrivo il conte Gian Battista Lorenzo Bogino che ricevette dal Re Carlo Emmanuele III l' incarico di sovraintendente agli affari sardi. Arrivato nell' isola avvio da subito un progetto di riforme molto moderato. Il suo riformismo lo potremo definire "illuminato" in quanto il Bogino guardava con interesse alla corrente di idee che andava diffondendosi in Europa e che veniva definito "Illuminismo". Il ridimensionamento dei privilegi di cui godeva il clero (che non erano pochi) fu una prima riforma messa in atto da  Bogino. Questa riforma prevedeva l' annullamento del diritto da parte del clero di concedere asilo in tutti gli edifici ecclesiastici a chiunque. In virtù di questo diritto assai spesso in tali edifici si rifugiavano assassini e  facinorosi di ogni genere. Fu abolito il privilegio del "Foro" che prevedeva l' immunità per i membri dell' amministrazione ecclesiastica  autori di  qualsiasi delitto. L' abolizione di questi privilegi di certo non comportavano alcun beneficio per la popolazione più povera e le classi sociali più disagiate,  ma davano un segnale della volontà di cambiamento da parte di Bogino. Furono avviate delle piccole riforme sulla giustizia e sull' istruzione. In particolare la riforma dell' istruzione prevedeva l' obbligo della lingua Italiana nelle scuole. Durante il periodo in cui Bogino fu sovraintendente agli affari sardi, la Sardegna subì un seppur minimo arretramento dello stato di sotto sviluppo in cui versava da secoli. Sempre nell' istruzione fu avviata la riforma dell' Università di Sassari e di Cagliari. Vi sono altri aspetti innovativi dell' opera  del Bogino, ma occorrerebbe  soffermarsi a lungo per elencarli tutti. No vi è dubbio che il quindicennio del "riformismo moderato" di Bogino fu un periodo in cui la Sardegna cerco di "crescere". Dopo la partenza di Bogino gli anni passarono senza grandi mutamenti almeno fino al 1780. In questo anno dopo gli avvenimenti dell' anno precedente gli animi si stavano scaldando sempre più e un vento portatore di protesta sociale aleggiava minaccioso sull' isola.  Veniamo a ciò che accade nel 1779. Sulla Sardegna uno stato di profonda carestia dovuta a un lungo periodo di siccità  aveva ridotto in misura considerevole la produzione di grano e  stava mettendo in ginocchio l' isola. Il Re invio in Sardegna grandi quantità di grano con l' intento di attenuarne la carenza. Altrettanto fecero il Viceré e il Governatore di Sassari. Il Viceré e il Governatore tramite dei prestanome rivendevano parte del grano fuori dall' isola. Ovviamente con un simile comportamento da parte di questi due soggetti "istituzionali", il solo aiuto del Re non riuscì a  sopperire alla carestia e di conseguenza a  placare gli animi. La rivolta venne innescata dalla decisione del Governatore di Sassari di  chiudere il mercato civico. Fu questa una decisione che  fece scatenare la popolazione. I rivoltosi occuparono tutte le vie dalla città e devastarono tutto ciò che capitava  sotto mano. Non venne risparmiato nemmeno il Palazzo di Citta, che era la sede istituzionale più importante.  La rivolta  fu sedata con la distribuzione gratuita di grano, pane e carne. I presunti responsabili dei disordini vennero impiccati nella pubblica piazza.  Gli annali raccontano di rivoltosi che  dopo aver sfilato per le vie della città legati e con un remo in mano, furono graziati solo dopo aver   baciato la forca. Dalla forte carestia i contadini e i pastori ne trassero qualche vantaggio. Furono istituiti con regio edito del 22 Agosto 1780 i Monti di Soccorso (un antenato delle Casse di Credito Agrario). Lo scopo era permettere ai contadini e ai pastori di chiedere dei prestiti per il mantenimento delle loro attività. Negli anni  successivi furono attuate delle piccole riforme, che migliorarono lievemente la vita dei vassalli. Non furono certo questi piccoli cambiamenti a placcare gli animi e far cessare la voglia di rivolta che montava sempre più forte tra i vassalli. Nel 1793 avvenne un fatto che contribuì in modo notevole alla mobilitazione popolare. Nella primavera di tale anno si riunirono a Cagliari i tre Stamenti del Parlamento Sardo che elaborarono  5 domande da presentare al Re.
  • L' immediata convocazione delle Corti  o Parlamento Generale e il ripristino della loro convocazione decennale. 
  • Il rispetto dei privilegia e delle fondamentali del Regno.
  • La rivendicazione degli impieghi della pubblica amministrazione ai sardi, fatta eccezione per la carica di viceré.
  • L'  istituzione di una Terza sala della Reale Udienza o consiglio di Stato ordinario con il compito di istruire tutte le pratiche politico amministrative che non rientrassero nell' ambito dell' amministrazione della giustizia penale e civile.
  • La creazione a Torino di un apposito Ministero per gli Affari di Sardegna.
La missione dei sei delegati partiti per Torino con lo scopo di presentare al Re le 5 domande falli. I delegati determinati nel voler presentare le domande solo al sovrano, si rifiutarono di esporle al Ministro dell' Interno Granieri nonostante la continua insistenza dello stesso ministro. Il Re solo dopo tre mesi  fece delle promesse generiche che non soddisfaranno la delegazione. In Sardegna la notizia del fallimento scateno il 28 Aprile 1794 la rivolta, che diede inizio alla "caccia al piemontese". Era da lungo tempo che la voglia di rivolta covava sotto la cenere, e questo sgarro del sovrano contro il popolo sardo la fece esplodere all' istante. Per le vie di Cagliari  si riversò una marea di gente e già a tarda sera del 28 Aprile Cagliari era sotto il controllo dei rivoltosi. Da questo momento inizio il seppur breve periodo di autogoverno della Sardegna da parte dei sardi. La Reale Udienza con soli giudici sardi assunse il governo dell' isola. Nel novembre del 1794 nel Logudoro scoppia la rivolta delle popolazioni rurali. In tre paesi di questo territorio fu innalzato per la prima volta il vessillo   antifeudale. Alla fine del 1794 esattamente il 28 dicembre un vero esercito di contadini entro trionfante a Sassari e la occupo. La conquista di Sassari da parte dei rivoltosi fu un atto di forza dell' ala radicale del movimento rivoluzionario. Questo fatto sancì definitivamente la rottura tra l' ala radicale e l' ala moderata. I moderati auspicavano un processo graduale di abolizione del feudalesimo. Il vento di rivolta soffiava con maggior vigore, la voglia di riscatto era forte. L' insofferenza maggiore era tra i Principales, i facoltosi contadini e allevatori. Furono proprio essi a far innescare la rivolta. Anche la piccola nobiltà comincio a manifestare insofferenza nei confronti dei piemontesi. Da queste due categorie vennero molti "patrioti" che appoggiarono la rivoluzione (fallita) di Giovanni Maria Angioy . Chi era Giovanni Maria Angioy ?
Giovanni Maria Angyoi
Era un "nobile minore" ossia proveniva da una famiglia della nobiltà rurale. La sua famiglia risiedeva a Bono (centro abitato del Sassarese) ed egli stesso nacque a Bono. Si laureo a Sassari, poi trasferitosi a Cagliari inizio a far pratica per intraprendere la carriera di avvocato. Abbandono subito questa strada e inizio gli studi di diritto. Fu allora che maturo in se il desiderio di porre fine alla "TIRANNIA" dei feudatari. Guardando e ispirandosi alla rivoluzione francese, inizio la sua rivoluzione. Gli fu assegnato il ruolo di Giudice della Reale Udienza. Nell' esercizio di questa funzione poté aver modo di vedere le ingiustizie e le angherie dei feudatari che rafforzarono la sua voglia di ribellione. Il feudalesimo era un male atavico della Sardegna che da secoli la teneva in uno stato di arretratezza e di degrado sociale assoluto che non aveva eguali nella penisola italica. Il feudalesimo esigeva tasse esose alla popolazione.  La teneva in uno stato  di arretratezza spaventoso. Non permetteva la crescita economica. Non vi erano innovazioni che permettessero una maggior produttività del settore agricolo e pastorizio tantomeno  di tutte le altre attività. Con questo stato sociale disastroso il 28 Aprile 1794 a Cagliari la popolazione esasperata uccise due funzionari della corona, e di fatto inizio la ribellione. Furono uccisi il Gen, Gerolamo Pitzolo e il Gen Gavino Paliaccio. Fu un effetto domino. In tutta l' isola si susseguirono atti di rivolta contro i piemontesi e si effettuo una vera e propria caccia agli stessi. Quei giorni vengono ricordati come: SA DIE DE S' ACCIAPA (i giorni dell' acchiappa). Mentre i giorno dell' inizio della rivolta viene ricordato come SA DIE DE SA SARDIGNA (il giorno della Sardegna). Ogni anno il 28 aprile si ricorda quel giorno con  la rappresentazione di quei fatti con figuranti in costumi dell' epoca. Credo che tutti in Sardegna conoscano l' inno antifeudale che impropriamente viene chiamato "PROCURA DE MODERARE BARONES SA TIRANNIA". Questo inno è la rappresentazione speculare del triennio rivoluzionario (1793-1796).
Giuseppe Manno
Il vero titolo di questo inno è "Su patriotu sardu a sos feudatarios" e fu scritto da Francesco Ignazio Mannu un magistrato di Ozieri (centro abitato vicino a Sassari). Mannu fu un membro importante del movimento rivoluzionario sardo. In questo inno si rappresenta il malessere delle classi sociali meno abbietti ma anche di coloro che tali non lo erano e mal sopportavano il feudalesimo. La si può definire una piccola Marsigliese che nel contesto sardo coglie dal vivo le vicende della "piccola rivoluzione sarda". Il Mannu nella sua opera denuncia i soprusi e le vessazioni a cui è sottoposta la popolazione da parte dei feudatari. Il 2 giugno del 1796  Giovanni Maria Angioy assieme ad un nutrito numero di rivoltosi  si mette in marcia verso Cagliari. L' intento di Angioy  era di negoziare con il governo del viceré e con il sovrano l' abolizione del sistema feudale. Molti storici sono stati dei detrattori dell' azione di Giovanni Maria Angioy. Il maggiore di essi ritengo sia stato  Giuseppe Manno. La marcia di Angioy fu interrotta ad Oristano il 10 giugno. Rientrò con molta fretta a Sassari per poi  imbarcarsi per Genova. Sulla sua testa fu posta una forte taglia che lo costrinse a spostarsi da Genova a Livorno da dove cerco invano l' appoggio di Napoleone Bonaparte alla causa sarda. Angioy si sposto a Casale dove rimase molti mesi in attesa di una risposta alle giustificazioni che aveva inviato al Re in merito al proprio operato durante la rivolta sarda. Non ricevendo alcuna risposta decise di andare in Francia da dove  non fece più rientro in Sardegna. La Sardegna torno sotto il pieno controllo dei regnanti di casa Savoia e riprese il suo sonno politico sociale e culturale.

domenica 3 novembre 2013

Ospitone fu veramente il re dei Sardi Barbaracini ?


di: Vinci  Angelo      


Gregorio Magno e Ospitone
Ospitone come Ansicora è un' altro personaggio del passato a cui i sardi tengono molto. Ma chi era veramente ?. Di lui si hanno poche informazioni storiche, la sua figura è di difficile localizzazione geografica. Un' ipotesi è che avesse il suo luogo di residenza nella Barbagia di Ollolai. Altra ipotesi ne colloca la  residenza nella Barbagia di Seulo attestandone la  discendenza dalla  famiglia degli "Ospitalis". Ovvero da Tarcutius Hospitalis  un marinaio della flotta romana  nato a Caralis (l' attuale Cagliari), il cui congedo militare in bronzo venne ritrovato  nelle campagne di Seulo. La datazione  di tale reperto  risulterebbe antecedente  di  qualche secolo alla famosa lettera inviata da Gregorio Magno al capo dei barbaricini.  Altri ancora ritengono che risiedesse nella Barbagia di Belvì. Per cercare di capire se Ospitone sia stato o non sia stato veramente il re dei sardi che vivevano nelle montagne  che i romani chiamavano "Barbaricini" occorre  partire dall' analisi dello stato in cui versava la Sardegna sotto il piano politico-culturale e religioso nella meta del VI sec. d.C..  Nel periodo dell' occupazione romana, le popolazioni che risiedevano nelle zone interne e montuose della Sardegna venivano appellati "Iliensi". I romani  chiamarono queste genti "Barbari" e da qui ne deriva l 'appellativo di "Barbaricini". Troviamo per la prima volta il termine "Barbaricini" riferito alle popolazioni delle montagne, nel "CODEX JUSTINIANUS" (una raccolta di materiale normativo e materiale giurisprudenziale di diritto romano, voluta dall' imperatore bizantino Giustiniano (527-565) per riordinare l'ormai caotico sistema giuridico dell'impero). Fordongianus (Forum Traiani) era nel periodo romano la sede delle milizie imperiali che avevavano il compito di difendere le popolazioni della pianura dalle incursioni dei  Barbaricini. Quando avvenne la scissione dell' impero romano Fordongianus perse d' importanza e non fu più sede delle milizie imperiali. Giustiniano volle che le milizie imperiali stessero di stanza a Fordongianus per tenere a bada i barbaricini. L' imperatore Giustiniano considerava i barbaricini non civilizzati e dediti alla venerazione di idoli di pietra e legno. I sardi già da tanto tempo praticavano il politeismo. Adoravano molte divinità, ma se si può sintetizzare i più rappresentativi erano la Dea Madre e il Dio Toro. Ambedue le divinità erano rappresentate anche dai menhirs, le cosiddette “perdas fittas”,  che sono delle lunghe e grosse pietre infisse nel terreno verticalmente, che ancora troviamo sparse nel territorio isolano. 

Gregorio  Magno
I romani forse si riferivano ai menhir quando dicevano che  i barbaricini adoravano idoli di pietra. Nel resto della Sardegna la conversione al cristianesimo era iniziata  da due secoli, le pianure erano cristianizzate, ma rimaneva da convertire la zona interna delle montagne. Il tentativo più vigoroso per imporre (perché di imposizione si trattava) la religione cristiana venne attuato dall' imperatore Maurizio che ordino al "Magister Milutum" (il Capo Militare) di Fordongianus Zabarda di profondere il massimo impegno nell' opera di sottomissione dei Barbaricini. Zabarda aveva quasi sottomesso i barbaricini, ma mancava qualcuno che avesse molta autorità tra gli stessi  barbaricini. Un capo  che riuscisse a far accettare  loro la sottomissione ai bizantini . Questa era la situazione nel VI d.C. della Sardegna. In questo contesto   Ospitone  assume un ruolo di primo piano. Ma chi era Ospitone ?  No abbiamo dati certi che ne attestino la reale esistenza. L' unico riferimento della sua presenza lo ritroviamo in una lettera del il Pontefice Gregorio Magno  nella quale  si rivolge a Hospitoni duci Barbaricinorum chiedendogli in virtù della sua posizione di preminenza tra il suo popolo di adoperarsi affinché i barbaricini si convertano  al cristianesimo. Se il Pontefice si rivolge ad Ospitone riconoscendogli una posizione preminente tra i Barbaricini, lo fa perché probabilmente ha la certezza della sua posizione di capo supremo tra gli stessi Barbaricini. Se veramente il Pontefice fa questo riconoscimento, indirettamente abbiamo   indicato  quello che  era il ruolo  di Ospitone nella società barbaricina:  un Re o come cita il Pontefice un Dux. Quindi è lecito supporre che Ospitone fosse al vertice sociale, che era il capo dei  capi tra la sua gente. Ma potrebbe anche non essere  stato un re, ma piuttosto uno dei tanti capi clan o tribù. In quella parte di Sardegna dove l' influsso innovativo dell' organizzazione sociale prima  punico e romano in seguito, non aveva sortito ancora nessun effetto,  la società probabilmente era organizzata come nel periodo nuragico: in cantoni o tribù . Un dato che può far riflettere sulla reale possibilità che egli fosse il Rex Barbaricinorum, è la sua  probabile conversione al cristianesimo. Che Gregorio Magno si rivolga a Ospitone e non ad altri all' interno della società barbaricina potrebbe  derivare proprio dalla sua conversione. Gregorio Magno sapeva che come interlocutore aveva oltre che il capo dei barbaricini un cristiano con cui era più facile trovare un' intesa. Non credo che se Ospitone fosse stato un pagano   gli avrebbe fatto pervenire  la missiva. Altro interrogativo è: Ospitone era un rozzo capo-tribù,  o piuttosto un personaggio autorevole e forse non “illetterato” come lo erano i barbaricini. Ma se non era un illetterato dove e chi gli aveva fornito le nozioni per "acculturarsi"?. Chi gli aveva fatto conoscere la religione cristiana ? . Forse  furono   gli  incontri che egli aveva con le genti che già sottostavano  al dominio Bizantino  già convertite al cristianesimo, a spingerlo alla conversione. 

Territorio della Barbagia
Ma potrebbe  anche essere stato qualche ecclesiastico che risiedeva nelle  "civitas" fuori dai territori della Barbagia con cui Ospitone aveva dei contatti a convincerlo alla conversione. Si possono fare tante ipotesi. Come un popolo che rifiutava il cristianesimo, e considerava i Bizantini nemici e usurpatori del "suolo patrio",     godeva di piena autonomia politica accettare un re che si era convertito alla religione cattolica?. Credo che ciò sia inverosimile. Credo altresì che la probabile realtà sia un' altra. Partiamo dal presupposto che effettivamente Ospitone fosse il Re o Dux dei Barbaricini. Si potrebbe ipotizzare che anche per lui sia accaduto ciò che accadde ad altri capi dei "Popoli Barbari" (come i romani definivano i popoli che erano in evidente stato di arretratezza sociale e culturale) i quali   presi in ostaggio dalle truppe imperiali venivano educati ed istruiti a "al modo di Roma" e  convertiti al cristianesimo. Accadde  ciò anche a Teodorico  il re degli Ostrogotti. Si può supporre che anche Ospitone fu  fatto ostaggio e poi educato in una citta importante dell' impero che potrebbe essere stata Caralis o altra citta. dopodiché fu  posto alla guida del popolo barbaricino ormai pressoché sconfitto  per accelerarne la conversione già iniziata. Ipotesi suggestiva ma che ritengo plausibile. Al Pontefice, Ospitone doveva essere abbastanza noto, probabilmente anche attraverso i suoi legati Felice e Ciriaco. Gregorio Magno confidava  in Ospitone per la conversione al cristianesimo dei Barbaricini. Ma i sudditi di Ospitone erano tutti pagani, o qualcuno si era già convertito ?. Probabilmente la conversione era iniziata, non era possibile che il capo dei Barbaricini fosse un cristiano e non lo fosse nessuno dei sui sudditi, la norma "cuius regio eius et religio" ovvero la religione del re deve essere anche la religione dei sudditi valeva anche per essi. Le genti che vivevano nelle zone interne e montagnose della Sardegna stavano cercando strenuamente di difendere gli ultimi scampoli di autonomia. Ma se Ospitone non era un re, è  da presumere che i vari gruppi abbiano individuato in Ospitone il loro capo supremo che li doveva guidare nella lotta comune contro i Bizantini. Ospitone secondo il volere del Pontefice firmo la pace con Zabarda e ciò permise a Felice e Ciriaco di intraprendere la cristianizzazione dei "Barbaricini". L’ evangelizzazione fu portata avanti dai monaci orientali, soprattutto basiliani, giunti in Sardegna al seguito dell’esercito bizantino. E fu un’opera molto rispettosa degli usi e costumi già esistenti che non fossero in contrasto col messaggio cristiano. I missionari seguivano al riguardo una direttiva molto saggia che Papa Gregorio aveva  già impartito agli evangelizzatori dell’Inghilterra, ossia  di non distruggere gli edifici sacri pagani, ma trasformarli in luoghi di culto cristiano e conciliare le esigenze della nuova fede con le vecchie tradizioni a sfondo religioso, a cui gli indigeni erano ancora legati. Certamente l' opera degli  evangelizzatori inviati in terra sarda e specificamente nelle zone interne dove vivevano i Barbaricini, non fu semplice. Oltre alle difficolta dovute alla scarsa propensione dei nativi alla conversione, si sommavano le difficolta di accesso ai territori, dovuti alla scarsa viabilità e al carattere impervio del territorio. Ospitone è probabile che abbia agito oltre che sul fronte della persuasione della sua gente anche sulla protezione e incolumità degli evangelizzatori. Vi era anche un problema comunicativo sotto l' aspetto linguistico, perché queste genti ancora parlavano una lingua che forse era quella parlata in epoca nuragica, e occorreva introdurre la lingua latina (cosa non facile) come già avvenuto da tempo nel resto della Sardegna. La dominazione  bizantina porto il cristianesimo nelle zone costiere  dove la "romanizzazione" era già avvenuta, e nell' interno. Ancora oggi in Sardegna l' imperatore Costantino è venerato come un santo nonostante la chiesa cattolica non lo consideri tale. A Sedilo (centro abitato della Sardegna centrale) si festeggia "Santu Antine" che è l'appellativo con cui nell'isola viene chiamato Costantino. Io credo che  Ospitone fosse  veramente un re o il capo indiscusso di questi Barbaricini . Quando Ansicora affronta i Romani nel tentativo (fallito) di indipendenza, si rivolge al "Capo dei Sardi delle montagne", chiedendogli aiuto . E ciò ci indica che già da allora quelle genti avevano un capo assoluto. Ospitone era la continuazione di quella tradizione che prevedeva che il popolo sardo indomito delle montagne avesse un capo. Il Pontefice Gregorio Magno si rivolge a Ospitone con la consapevolezza di avere come interlocutore un sovrano, altrimenti non avrebbe usato l' appellativo di "DUX".

La lettera di Gregorio Magno a Ospitone re de Barbaricini.
« Gregorius Hospitoni duci Barbaricinorum.
Cum de gente vestra nemo Christianus sit, in hoc scio quia omni gente tua es melior, tu in ea Christianus inveniris. Dum enim Barbaricini omnes ut insensata animalia vivant, Deum verum nesciant, ligna autem et lapides adorent; in eo ipso quod verum colis, quantum omnes antecedas, ostendis. Sed Fidem, quam percepisti, etiam bonis actibus et verbis exequi debes, et Christo cui credis, offerre quod praevales, ut ad eum quoscumque potueris adducas, eosque baptizaris facias, et aeternam vitam deligere admoneas. Quod si fortasse ipse agere non potes, quia ad aliud occuparis, salutans peto, ut hominibus nostris quos illuc transmisimus, fratri scilicet et aepiscopo meo Felici filioque meo Ciriaco servo dei solatiari in omnibus debes, ut dum eorum labores adiuvas, devotionem tuam omnipotenti domino ostendas, et ipse tibi in bonis actibus adiutor siti cuius tu in bono opere famulis solatiaris, benedictionem vero Sancti Petri Apostoli per eos vobis trasmisimus, quam peto ut debeatis benigne suscipere. »

  « Gregorio ad Ospitone, capo dei Barbaricini.
Poiché nessuno della tua gente è Cristiano, per questo so che sei il migliore di tutto il tuo popolo: perché sei Cristiano. Mentre infatti tutti i Barbaricini vivono come animali insensati, non conoscono il vero Dio, adorano legni e pietre, tu, per il solo fatto che veneri il vero Dio, hai dimostrato quanto sei superiore a tutti. Ma dovrai mettere in atto la Fede che hai accolto anche con le buone opere e con le parole, e al servizio di Cristo, in cui tu credi; dovrai impegnare la tua posizione di preminenza, conducendo a Lui quanti potrai, facendoli battezzare e ammonendoli a prediligere la vita eterna. Se per caso tu stesso non potrai fare ciò perché sei occupato in altro, ti chiedo, salutandoti, di aiutare in tutti i modi gli uomini che abbiamo inviato lì, cioè il mio "fratello" e coepiscopo Felice e il mio "figlio" Ciriaco, servo di Dio consolatore, e di aiutarli nelle loro mansioni, di mostrare la tua devozione nel Signore onnipotente, e Lui stesso sia per te un aiuto nelle buone azioni come tu lo sarai per i servi consolatori in questa buona opera, e tramite loro ti mandiamo veramente la benedizione di San Pietro Apostolo, che ti chiedo di ricevere con buona disposizione d'animo »    
Comunque siano andate veramente le cose, una certezza va incamerata: la Sardegna fu evangelizzata anche nei territori montani e oggi è una terra dove la cristianità è forte e molto radicata nel territorio.
 
Rovine delle Terme di Forum Traiani

domenica 27 ottobre 2013

Il nuraghe complesso Mereu a Sarroch.

di: Vinci  Angelo         
                                         
  
Nuraghe Mereu camera superiore del mastio
Nel comune di Sarroch (centro abitato dell' hinterland di Cagliari sulla costiera occidentale)   le testimonianze della protostoria e della preistoria sarda sono innumerevoli e di grande interesse. Non mancano le Tombe dei Giganti, sepolture della fase Culturale di Monte Claro e tanti nuraghi. I due nuraghi maggiormente conosciuti sono il Nuraghe Antigori (con annesso villaggio) e il Nuraghe Sa Domu e S' Orchu. Sono due nuraghi sottoposti a campagne di scavo approfondite  dirette da grandi archeologi. Il Nuraghe  Domu de s' Orchu subì la prima opera di scavo approfondito nel 1924  da parte Antonio Taramelli. Nel 1980 la Ferrarese Cerruti effettuo lo scavo del Nuraghe Antigori. Questi due nuraghi hanno restituito reperti importanti, in particolare ceramiche micenee. Il Nuraghe Mereu è il meno conosciuto, anzi oserei dire quasi sconosciuto ai più. Eppure questo nuraghe è quello che a mio giudizio    ha avuto un ruolo preminente nel territorio. Non vi è dubbio che sia il nuraghe presente nel territorio con la maggior estensione planimetrica. La posizione del nuraghe rispetto al territorio, la grandezza in termini di mole, la particolare struttura architettonica, ci induce ad ipotizzare che fosse  il centro di potere di un cantone o quantomeno di un gruppo di nuraghi. Nel territorio di Sarroch la concentrazione dei nuraghi è alta, come pure tra Pula e Domus de Maria. Per la maggior parte dei casi di tratta di piccoli nuraghi e non tutti in buono stato di conservazione. La visuale  dal nuraghe è  a 360°. Da questo punto si poteva controllare tutto il territorio circostante. L' ipotesi che questo nuraghe fosse il "capoluogo" di un cantone viene rafforzata  analizzando la presenza dei nuraghi nell' area vasta che va da Sarroch fino a Teulada e da Sarroch fino a Cagliari e il suo hinterland occidentale. Da tale analisi si evince  che la presenza di  nuraghi imponenti e complessi come il nuraghe Mereu si riduce allo stesso nuraghe Mereu. D' altronde una delle ipotesi  maggiormente  sostenute sulla strutturazione della società nuragica è proprio la suddivisione in cantoni. Il capo cantone ovvero colui che deteneva il potere, risiedeva con la sua famiglia in un nuraghe maestoso e plurilobato . Ogni cantone aveva una sua sede o capitale se cosi la vogliamo chiamare, dove risiedeva il capo cantone che potremo anche chiamarlo principe. Il nuraghe che era la dimora come detto di colui che stava a capo del cantone solitamente era imponente e   con più torri. Se andiamo ad analizzare la dislocazione di nuraghi complessi tranne che in  alcuni casi, non li troviamo molto vicini l' un l' altro proprio perché stavano al centro di un sistema di nuraghi "minori". Tornando al Nuraghe Mereu ciò che si evidenzia subito non appena si giunge sul luogo,  è la folta vegetazione che avvolge quasi fino a farlo scomparire il  nuraghe. Il nuraghe ci appare come un imponente cumulo di massi con il solo mastio che è ben evidente. La  distribuzione degli stessi massi è disomogenea e risulta più accentuata in alcuni punti e  meno in altri. Questo è l' impatto visivo immediato.  Dal  punto di vista strutturale la realtà è ben diversa e impressionante. Dico questo perché anche dopo l' ultimo sopraluogo fatto non meno di 20 giorni fa, ho rafforzato la mia ipotesi secondo la quale   il residuato è ancora notevole, e in parte si trova ricoperto dal materiale  di crollo.

Parte svettante del mastio
Lo svettamento della torre centrale che ho misurato nella parte più alta è di 4,10 mt., mentre il diametro è di circa 9,50 mt. (misurazioni effettuate senza l' aiuto di altri, quindi potrebbero anche variare  in difetto o in eccesso). La torre centrale presenta la tholos crollata, con   il relativo materiale di crollo   riversato all' interno, che è andando  a ricoprire il pavimento della camera superiore. Che la torre abbia due camere è certo. La certezza  di ciò  si ha se osserviamo il dislivello esistente tra lo svettamento della torre centrale e il cumulo di pietre alla base della torre NORD. Occorrerebbe una misurazione accurata per determinare l' entità del salto di quota, ma "a occhio"  credo che il dislivello sia  tra  10 e 12 mt. Chiaramente se questo è il dislivello sottratti i 4 mt. del residuato della torre centrale che ancora è visibile rimangono 6 o 8 mt. che possono essere riferiti all' altezza della camera inferiore. Da aggiungere che la camera superiore per come si presenta attualmente è da considerarsi  con un residuato dell'  70-80 % della sua altezza totale. Le camere superiori sono sempre  più basse delle inferiori. La torre centrale ha una particolarità che si nota subito come si arriva in cima alla torre. La camera  risulta decentrata verso Nord/Ovest rispetto al piano della torre stessa. Sul lato Ovest della camera superiore si apre un' apertura a sezione ogivale con altezza all'apice di circa 1,50 mt. Questa era l' apertura che immetteva nella camera accedendo dalla scala intramuraria che non è visibile a causa del materiale di crollo che la ostruisce. A Nord e Ovest si evidenziano residuati di paramenti murari, non molto consistenti a dire il vero. Da notare che hanno una tendenza al profilo verticale. Questa caratteristica strutturale del paramento murario  non è tipica della struttura di un nuraghe, che viceversa già dai primi filari tende ad avere un profilo aggettante verso l' interno.
Massi del raccordo murario
Potrebbe trattarsi di una struttura  che  portava allo stesso livello della zona Sud e Est  questa parte  su cui poi erigere le torri che sono individuabili a Nord e Ovest. Non può essere considerata parte del raccordo murario tra le torri, perché un tratto di tali mura è ben visibile  tra le torri E e  D. La lunghezza da me rilevata di questo tratto murario di raccordo   è di 9.00 ed è costituita da conci di medie e grandi dimensioni. Come ho detto il nuraghe è coperto dalla vegetazione, e ciò ne rende difficoltosa l' esplorazione, ma c' è un' altra condizione che non facilita l' individuazione sul piano planimetrico della disposizione del nuraghe: è il pietrame sparso un po' da per tutto. La disposizione planimetrica  mostrata nel disegno sottostante, è stata  ricavata dopo l' ultimo sopraluogo  nel nuraghe.
Le torri che in qualche modo si riescono ad individuare sono quattro; la B, C, D, E. La torre A sembrerebbe essere presente con un residuato sotto un cumulo di pietrame che è presente  nel punto in cui ho collocato la torre nella planimetria. Il cortile individuabile sul lato Est si presenta come una leggera depressione in un cumulo esteso di pietrame. Il lato Est è il latto che presenta un crollo più accentuato della struttura. Il nuraghe e stato edificato con blocchi di andesite in buona parte con leggera sbozzatura. I conci sono di media e piccola grandezza. Sul lato dalla torre D parte un muro a secco che si inoltra lungo il pendio del colle per circa 150-200 mt.. Questo muretto è stato realizzato  "smontando" la parti alte del nuraghe. Era una pratica in uso un po' su tutto il territorio isolano che aveva come fine ultimo il riutilizzo del pietrame come materiale da costruzione. Un aumento di questa pratica si ebbe allor quando i regnati Sabaudi  con l'  editto delle chiudende emanato da dal re Vittorio Emmanuele I ( "Regio editto sopra le chiudende, sopra i terreni comuni e della Corona, e sopra i tabacchi, nel Regno di Sardegna"),  autorizzarono  la recinzione dei terreni, introducendo di fatto la concezione di proprietà privata. Una vecchia tradizione  che persisteva dal periodo giudicale,  che   considerava  di proprietà collettiva tutte le aree rurali.
Muro a secco realizzato con i massi del nuraghe
A Ovest circa 10-15 mt. dal nuraghe sono presenti tre grossi cumuli di pietra di forma rettangolare  e  alti non più di 50-70 cm . I cumuli ad un primo esame (difficoltoso analizzarli in modo approfondito in quanto avvolti dalla fitta vegetazione) sembrerebbero esser stati realizzati dagli stessi che hanno realizzato il muro a secco. Potrebbero essere delle riserve di pietrame per la costruzione del muro a secco. In uno di essi su un lato corto pare sia presente una sorta di porta e un breve andito e presenta una depressione al centro, con un abbozzo di mura esterne. Forse si tratta di una capanna. Nelle  immediate vicinanze del nuraghe è presente  un luogo di sepoltura, che certamente fu al servizio dello stesso nuraghe. A circa una trentina di metri dalle ultime pietre del crollo sul crinale del lato Nord è presente una Tomba dei Giganti. Si presenta completamente avvolta dalla fitta vegetazione che ne ha inglobato la struttura e ciò ne pregiudica l' individuazione immediata. Realizzata come il nuraghe in andesite, non si trova in buono stato di conservazione. Manca  del tutto la copertura, mentre il resto della struttura è ben identificabile. Le pareti interne sono formate da lastre di  dimensioni medie di 1,10 x 1,40 mt.. L' ingresso alla tomba è con esedra e architrave. La valorizzazione e il recupero di questo nuraghe è importante, non solo perché come detto in precedenza è l' unico che in ambito territoriale ha caratteristiche architettoniche e strutturali uniche. Se al piano di recupero che ne permetta una più facile fruibilità, si affianca una campagna di scavo, si avrebbero conferme  maggiori sui rapporti con la Civiltà Micenea. Ciò che intendo affermare è che il ritrovamento di ceramiche Micene (possibilissimo visto la scarsa attività di scavo e il residuato ancora notevole: la camera inferiore del mastio è praticamente inesplorata) in questo nuraghe confermerebbe che i contatti tra i nuragici della zona e Micenei era assiduo e costante. Resta sempre il grosso e annoso problema dei costi di una campagna di scavi. Chi può finanziare una campagna di scavi che certamente non può essere breve??? Purtroppo sono pochi i privati  che si avventurano in finanziamenti che non ha un rientro a breve termine. Le casse pubbliche languono,  a mala pena riescono a provvedere al mantenimento del patrimonio archeologico esistente.

Tomba dei Giganti Mereu
Il nuraghe si raggiunge percorrendo la S.S. 195 Sulcitana. Al semaforo di Villa San Pietro si svolta a sinistra  provenendo  da Cagliari  a destra provenendo  da Pula,  si percorre la strada che porta al porto di Pedesali, e dopo qualche chilometro si svolta a destra per Porto Columbu, dopo circa 300 metri si imbocca una strada sterrata in leggera salita che conduce  a un ampio spiazzo dove si può parcheggiare l' auto. Percorrendo un sentiero che parte dal parcheggio si raggiunge il nuraghe.

Residuato torre B




martedì 8 ottobre 2013

La Cultura di Bonnanaro ultima fase culturale prenuragica.

di: Vinci  Angelo                                                 
  


Domus de Janas Corona Moltana a Bonnanaro
Prima che iniziasse a svilupparsi la Civiltà Nuragica a partire dal Neolitico Antico, vi fu un susseguirsi di fasi culturali caratterizzate in modo particolare dalla produzione di vasellame. L' ultima di queste fasi   fu la Cultura di Bonnanaro (prende il nome dal centro abitato in provincia di Sassari, dove furono fatti i primi ritrovamenti). Le  fasi culturali  prendono il nome dal luogo ove furono rinvenuti dei manufatti che prima di allora non furono rinvenuti altrove. Con ciò non si intende che quella specifica fase culturale abbia avuto inizio in quel luogo, ma bensì che in quel luogo si ebbero le prime testimonianze.  I ritrovamenti posteriori fatti in altri luoghi  che restituiscono manufatti identici a quelli rinvenuti in questo specifico luogo vengono fatti risalire a questa fase. Nel territorio di Bonnanaro avvenne quanto sopra esposto. Nella Domus de Janas Corona Moltana,  furono ritrovati dei vasi di tipologia e forma che non avevano riscontro nei precedenti ritrovamenti.   In questa fase culturale la produzione di vasellame subì un notevole incremento. Anche  le tipologie divennero più varie. Il numero di vasi e manufatti in terra cotta che le sepolture riferibili a questa fase, ci hanno restituito è  assai abbondante. La Cultura di Bonnanaro si sviluppo tra il Bronzo Antico e il Bronzo Medio (2.200- 1.800 a.C.). Questa fu l' ultima fase culturale prima della nascita della Civiltà Nuragica. Probabilmente si svilupparono da essa i primi embrioni della grande Civiltà Nuragica. Una supposizione che può essere avvalorata dall' analisi delle ceramiche del periodo finale della Cultura di Bonnanaro e del periodo iniziale della Civiltà Nuragica. Le ceramiche di questi due periodi in molti casi presentano delle similitudini. Ciò avviene anche nel confronto tra la Cultura di Bonnanaro e la precedente Cultura del vaso Campaniforme.  Similitudini che si osservano nelle forme dei vasi e nei corredi funerari.   Questo aspetto può fare naufragare l' ipotesi che taluni avanzano, secondo cui furono  genti venute chi sa da dove a sviluppare la Civiltà Nuragica. Credo  sia più plausibile che  vi sia stata una continua evoluzione culturale nelle genti che risiedevano nell' isola da lungo tempo,  a sviluppare la Civiltà Nuragica. La Cultura di Bonnanaro è stata la cultura prenuragica che più di ogni altra si è estesa su tutto il territorio isolano con alcune concentrazioni maggiori in  specifiche zone. Vi è un' altra  cultura coeva alla Cultura di Bonnanaro    che con essa presenta  alcune affinità.


Vaso rinvenuto a Polada  nel Bresciano    
Questa cultura è la Cultura di Polada. I primi manufatti furono rinvenuti la prima volta nella omonima località nel Bresciano. Una differenza con la Cultura di Bonnanaro la si riscontra negli insediamenti abitativi che sono su palafitte. Come già accennato la peculiarità della Cultura di Bonnanaro sono le ceramiche. I ritrovamenti fatti nelle sepolture sono numericamente consistenti, ma altrettanto consistente è la varietà di forme del vasellame. Questo ci indica che furono ricercate sempre più delle forme che fossero funzionali alle esigenze di vita quotidiane. Il colore dell' impasto delle ceramiche è più scuro  e grossolano rispetto alle culture precedenti. Altra caratteristica è la pressoché assenza di decorazioni.

Vaso Tripoide
 Per la prima volta fanno la comparsa dei recipienti insoliti come i grandi vasi a collo e dei vasetti detti a "calamaio". Una particolare tipologia di vaso rinvenuto con molta frequenza è il "Vaso tripoide", che non è altro che un grosso ciotolone, che nel punto in cui si incontrano fondo e parete presenta dei piedi in forma trapezoidale. Questa tipologia era presente anche se in misura minore nelle precedenti culture. Questo tipo di vaso andrà  perso alla fine  del bronzo medio. Nelle sepolture riferibili a questa fase culturale sono stati rinvenuti numerosi brassard. Cosa sono i brassard ? Sono degli elementi in pietra di forma rettangolare che presentano dei fori sui lati brevi. Secondo una opinione assai diffusa pare servissero agli arcieri per proteggere il braccio nel momento di scoccare la freccia. Questi elementi litici sono stati rinvenuti nelle sepolture, ma fatto strano, non sono state rinvenute punte di frecce. A dire la verità a parte i brassard non sono stati rinvenuti altri oggetti litici. Che spiegazione si può dare ad una simile anomalia ? Una possibile motivazione può essere che facessero parte del corredo funebre di un individuo di alto rango, come un capo villaggio o un capo guerriero. Forse tale oggetto era un distintivo dei suddetti soggetti e accompagnava il defunto come consuetudine in quei tempi nell' oltretomba. Una ipotesi non meno plausibile è che queste genti costruissero le punte delle frecce con materiali deperibili come ossa o legni duri come il ginepro. Se cosi fosse le frecce non sarebbero potute arrivare ai nostri giorni integre. Stranamente pur essendo in piena Età del Bronzo gli oggetti in metallo ritrovati  non sono numerosi. Dei pochi ritrovamenti di strumenti in metallo fanno parte: lesine punteruoli, pugnali spade. Per la  Cultura di Bonnanaro  i ritrovamenti sono avvenuti essenzialmente nei contesti sepolcrali. 
Non abbiamo per altri contesti diversi da quello sepolcrale molte testimonianze, specie del contesto abitativo. Questa lacuna non ci permette di conoscere gli strumenti di metallo usati nella vita quotidiana. Sicuramente l'oggettistica in metallo era presente, ma non era presente nel corredo funerario. Grazie ad un ritrovamento di armi fatto in una Domus de Janas presso Decimoputzu sappiamo che tipo di armi erano in uso. In questa tomba sono stati rinvenuti spade e pugnali in rame con lunghezza che va da 31 a 72 CM. Le spade presentano l' estremità  dalla parte dell' impugnatura arrotondata. Un particolare interessante è la presenza nella parte arrotondata di  numerosi chiodi. Chiodi che presumibilmente servivano al fissaggio del' impugnatura fatta con un materiale deperibile come il legno o osso. Le genti della Cultura di Bonnanaro non seppellivano i morti esclusivamente nelle Domus de Janas, ma anche in grotte naturali e sporadicamente in casse litiche realizzate con lastroni di pietra. 
Nel nord della Sardegna erano maggiormente utilizzate le Domus de Janas. A tal proposito è assai probabile che le genti di questa cultura furono gli ultimi ad utilizzare le   Domus de Janas della Cultura di Ozieri. Una testimonianza dell' utilizzo delle Domus de Janas della Cultura di Ozieri, ci viene dalla necropoli  di Su Crocifissu Mannu presso Portotorres.  Le genti della Cultura di Bonnanaro dopo aver utilizzato le tombe di questa necropoli ne sigillavano l' ingresso e ciò ha permesso che arrivassero fino ai nostri giorni i corredi funerari al completo consentendoci  di avere una visione  più  chiara dei riti funerari. Le grotte naturali furono maggiormente utilizzate nel Nuorese e nel Sulcis. Come detto in precedenza questa fu l' ultima cultura prenuragica, la sua fase fini con la nascita della Civiltà Nuragica.  Nulla vieta di ipotizzare che l' embrione della Civiltà Nuragica fosse già in fase di sviluppo nella fase finale della cultura di Bonnanaro. 


Spade in rame rinvenute a Decimoputzu

mercoledì 4 settembre 2013

Domus de Janas sepolture nella Sardegna preistorica

di:  Angelo  Vinci             



Domus de Janas
Domus de Janas
L' uomo fin dalla preistoria ha sentito l' esigenza di seppellire i morti. Esigenza che nell' evoluzione culturale delle popolazioni preistoriche ha  sempre trovato nuove modalità, ma  legate al contesto socio-culturale delle varie epoche. Ciò è avvenuto anche in Sardegna. Se si pensa alla Sardegna  protostorica il primo simbolo che viene in mente sono i nuraghi.   Maestose e imponenti costruzioni edificate circa 4.000 anni fa con grande maestria dagli uomini che in quei tempi abitavano l' isola. Ma oltre al nuraghe vi sono le "Domus de Janas la testimonianza più rappresentativa della preistoria  sarda. Le Domus de Janas sono delle tombe ipogeiche scavate nella nuda roccia con strumenti primitivi, sicuramente litici non essendo, all' epoca in cui furono scavati conosciuti i metalli. Sono stati rinvenuti con frequenza nelle tombe,  strumenti in pietra grossolanamente appuntiti e con una sagomatura tale da permetterne l' impugnatura gli archeologi li chiamano "Picchi di scavo".Tali strumenti con molta probabilità venivano realizzati in loco, utilizzati per lo scavo e a fine lavori lasciati sul posto. Ciò spiega il perché vengano ritrovati in gran numero in molte tombe.    Le Domus de Janas sono diffuse in tutta la Sardegna. La datazione in merito alla  realizzazione è da far risalire al Neolitico Recente e probabilmente se ne scavarono fino all' inizio dell' Età del Rame. Quindi una temporalità che va dagli ultimi secoli del IV° millennio a.C. fino agli inizi del II° millennio a.C. Un arco di tempo assai lungo che ha permesso ai costruttori di questi antichi sepolcri di migliorare le caratteristiche architettoniche pur nel rispetto degli aspetti peculiari degli stessi, quali l' ingresso tramite una sorta di buco/porta a pozzetto o a parete e la cella/le nelle cui pareti ricavare le nicchie in cui venivano disposti i defunti. I sepolcri preistorici scavati nella roccia non sono di esclusiva pertinenza dell' isola sarda, ma si trovano un po' ovunque in tutto il bacino del Mediterraneo dove vengono menzionate semplicemente come tombe ipogeiche, oppure assumo denominazioni diverse  in funzione della lingua  locale. In Sardegna  sono particolarmente numerose, e sono dislocate in tutto il territorio dell' isola in alcuni casi con concentrazioni costituite anche da più di 40 tombe oppure isolate. Vengono menzionate con il nome di Domus de Janas. Sicuramente ci si chiederà: ma che significa Domus de Janas ? In lingua sarda il termine Domus significa “Casa” Janas significa “Fate o Streghe” . Tradotto  in lingua italiana significa “Casa delle Fate”. In alcune zone interne della Sardegna dove la lingua sarda è ancora più arcaica che nelle zone costiere, dove al contrario "la italianizzazione” è più marcata, queste tombe vengono indicate anche con il nome di forrus o forreddus (buche o fornelli). Come ho già accennato la datazione copre un ampio arco temporale; circa 1.500 anni. Questa è una datazione che è stata rivista  a seguito dei risultati di scavi effettuati nella necropoli di Cucurru Is Arrius a Cabras. Scavi che hanno fatto retrodatare le prime sepolture ipogeiche Domus de Janas. Gli archeologi avevano sempre sostenuto che lo scavo di queste tombe. Ora si pensa che la costruzione  avesse avuto inizio durante il periodo in cui nell' isola si diffuse la Coltura di Ozieri, una delle culture prenuragiche e che senz'altro fu la coltura che maggiormente si diffuse in tutta la Sardegna. La Cultura di Ozieri si sviluppo nel Neolitico Finale dal  3.200 al 2.800 a.C. Le analisi sui reperti della necropoli di Cucurru  Is Arrius hanno consentito  la collocazione dell' inizio dello scavo  delle tombe nella Cultura di Bonu Ighinu (4.200-3.500 a.C. in pieno Neolitico Medio).  Il rinvenimento in alcune sepolture della Dea Madre,  in   alcune altre  sepolture  il protone taurino (notoriamente riconosciuto come simbolo sacro)  fa ipotizzare il culto della fertilità e l' adorazione del Dio Toro. In tutta la Sardegna sono state ritrovate circa 3.500 di queste sepolture diffuse su tutto il territorio  con una maggior concentrazione nella Sardegna centro settentrionale.   La maggior parte delle Domus de Janas sono state scavate nell' arenaria (molto friabile e di facile scavo), ma anche nel granito, nella trachite e nella marma.
Tomba con ingresso a pozzetto                    Tomba con ingresso a parete
Sono meno frequentemente scavate nel basalto e nel calcare. Si può ragionevolmente ipotizzare che la concentrazione delle tombe nel territorio abbia una diretta connessione con la tipologia di roccia. In territorio di Bonorva dove l' arenaria è la tipologia di roccia predominante, difatti le Domus de Janas sono numerosissime.  Sono tre gli agglomerati di tombe maggiormente significativi: Montesu a Villaperuccio, Santu Andrea Priu a Bonorva, Anghelu Ruju a Alghero. Le Domus de Janas  come detto sono state realizzate e usate continuativamente per circa 1.500 anni dalle diverse culture prenuragiche. Questo  aspetto purtroppo ha contribuito alla non facile determinazione dell' utilizzo nel corso del tempo da parte delle varie culture. Nella maggior parte delle tombe i materiali riferibili alle varie culture sono confusi mischiati tra loro. A ciò dobbiamo aggiungere  il danno fatto dai tombaroli di ogni tempo. Le tombe non venivano scavate in una unica fase ma bensì in più fasi. Ciò si deduce dalle tante celle che presentano tracce di lavorazione non completati e nicchie di deposizione appena abbozzate. L' ingresso delle Domus de Janas non risulta fossero proviste di chiusura a mezzo di lastre di pietra, ma in alcune sulla cornice esterna sono presenti decorazioni in rilievo sulla roccia. La disposizione planimetrica delle tombe è molto varia. La più semplice è a unica cella, nelle più  complesse troviamo disposizioni a celle concentriche con una cella centrale,  disposizioni a  croce o a "T" . Nelle tombe con ingresso a "parete" e quasi sempre presente un corridoio che conduce alla cella centrale, con  passaggio in una anticella. Il tipo di roccia ha sicuramente influenzato in qualche modo la concentrazione delle Domus de Janas sul territorio isolano. Credo anche che ne abbiano influenzato anche l' estensione interna, difatti le più estese sono scavate nell' arenaria. Come sono le Domus de Janas al loro interno ? Le tombe più semplici con una o più celle  generalmente si presentano senza grandi elaborazioni architettoniche o decorazioni. Le tombe molto elaborate presentano aspetti architettonici straordinari e unici per  l'accuratezza della lavorazione, per gli aspetti architettonici  le ricche decorazioni, che richiamano le abitazioni dell' epoca.
Domus de Janas decorata
Proprio l' aspetto architettonico che in qualche modo cerca di riprodurre l' abitazione,  ci permette di immaginare come fossero le abitazioni dei sardi di circa 5.000 fa. Nella rappresentazione fedele delle abitazioni possiamo trovare il pilastro centrale che regge il tetto, la trave centrale, i travicelli che partono dalla trave centrale, gli architravi e in alcuni casi è rappresentato perfino il focolare. Il tetto lo troviamo rappresentato sia in forma rotonda (a voler rappresentare una capanna) oppure rettangolare. Sono rappresentate anche le porte e le finestre. 
Assai frequente è la decorazione delle pareti  con simboli magici in rilievo, come le  corna taurine stilizzate, oppure delle spirali o  altri decorazioni con disegni  geometrici. Non si usava fare solo la  decorazione delle pareti con dei  rilievi, ma  anche   qualche  incisione  e qualche  dipinto non particolarmente elaborato., Nella celebre tomba di Mandra Antine di Thiesi i decori  i dipinti sono molto belli e suggestivi. Similitudini con le Domus de Janas possiamo trovare nelle tombe Etrusche che però e doveroso annotarlo sono "giovani" rispetto alle Domus essendo state costruite non meno di 1.000 dopo. Anche gli etruschi nelle loro sepolture tendevano a riprodurre l' ambiente domestico.

Tomba Etrusca                            Domus de Janas

Talvolta nelle Domus de Janas venivano abbelliti  i rilievi architettonici con delle colorazioni. Uno splendido esempio lo possiamo ammirare nella Domus de Janas  Mandu Antine a Thiesi.  Le Domus de Janas sono secondo l' opponine comune della gran parte degli archeologi sono sepolture collettive. Alcuni quesiti si possono porre in merito alla fruizione delle tombe. Chi veniva sepolto ? Erano tombe di famiglia ? Erano tombe al servizio del villaggio/i ?  Le Domus de Janas sono senza ombra di dubbio un simbolo identificativo della Sardegna preistorica. Le tombe ipogeiche  sono presenti non solo in Sardegna ma anche in altri luoghi dell' area mediterranea. Ma occorre prenderne atto che in Sardegna sono uniche per la loro accurata lavorazione e l' accuratezza nelle decorazioni. Ovunque tra i popoli preistorici si presupponeva che vi fosse una continuità della vita umana con la vita  eterna. Seguendo questo loro antico ideale quei popoli antichi fornivano al defunto oggetti e decori che nella vita terrena erano soliti usare. Ecco perché troviamo accanto ai defunti di quel periodo oggetti o decori personali come monili o altro. Anche il cercare di riprodurre nei sepolcri la propria  abitazione è legato a questo aspetto. Del rito funebre si possono supporre alcuni aspetti. I defunti forse venivano deposti in posizione fetale, forse il corpo veniva preparato con unguenti o dipinto di ocra rossa,  forse venivano scarnificati, cioè veniva rimossa la carne dalle ossa e poi deposti. La scarnificazione poteva essere naturale o a mezzo di strumenti in di pietra. I defunti non rimanevano sempre nella tomba, ma venivano rimossi per permettere nuove sepolture, e con essi i corredi funebri annessi. Se cosi non fosse stato  avremo avuto molte più tombe oppure le tombe avrebbero presentato al loro interno cataste di resti umani.

Alcune necropoli di Domus de Janas

 Cliccare qui per vedere un video interessante sulle Domus de Janas