giovedì 3 aprile 2014

La metallurgia nella Sardegna preistorica e protostorica

di Vinci Angelo


Panella di rame Oxhide
La  Civiltà Nuragica nasce e si sviluppa in Sardegna in piena Età del Bronzo e termina nell' Età del Ferro. Le popolazioni sarde nuragiche vivono appieno queste due fasi. La Sardegna è una terra geologicamente molto antica formatasi circa cinquecento milioni di anni fa, in pieno Cambriano Inferiore nell' era geologica Paleozoica. I giacimenti minerari di cui la Sardegna è particolarmente ricca si sono formati già dal quel momento. Nel periodo nuragico in Sardegna la produzione di oggetti in metallo (bronzo in particolare) è consistente sia dal punto di vista della quantità che della qualità e ciò ci ha permesso di capire almeno in parte quale era l' economia nella Sardegna nuragica. In epoca nuragica gli oggetti di uso quotidiano e le  armi erano realizzati da prima in bronzo e poi in ferro. Il bronzo fu impiegato anche se in misura minore anche nell' età del ferro. La Sardegna è assai ricca di giacimenti minerari. L' attività estrattiva ha avuto un ruolo importante in ogni epoca. Fino a non molto tempo fa  erano attive molte miniere sparse su tutto il territorio isolano. I distretti minerari più importanti in termini di dimensione dei bacini metalliferi, si trovano a Iglesias/Monteponi  a Arbus/Ingurtosu e Guspini/Montevecchio. I minerali maggiormente estratti sono stati la galena (da cui si ricava il piombo) e la blenda (la sfalerite o blenda è il minerale dal quale si estrae  lo zinco). Il nome “galena” deriva dal greco “γαλήνη" che significa  mare calmo. Il primo a descriverlo come minerale di piombo fu  Plinio il Vecchio. In alcuni filoni la galena presenta una discetta quantità di argento. Anche la presenza di minerali del ferro non è scarsa. Una miniera in particolare risulta sfruttata già in epoca nuragica. Si tratta della miniera di Funtana Raminosa situata nel comune di Gadoni. I filoni di calcopirite (minerale da cui si ricava il rame) di cui era ricca questa miniera ne hanno permesso lo sfruttamento per lungo tempo. Quando ci riferiamo all’ attività mineraria preistorica, non dobbiamo pensare che tale attività abbia contemplato lo scavo di profondi pozzi o gallerie, come  è avvenuto in epoche posteriori. In quelle remote epoche si “grattava” la superficie terrestre o al massimo si scavavano piccole buche per estrarre i minerali da cui ricavare i metalli. In epoca preistorica allorché l’ uomo comincio a far uso del primo metallo (che fu il rame) si sgretolava la crosta terrestre con il calore. Ciò avveniva accendendo dei fuochi che scaldavano il terreno. Questo era un  procedimento  che partendo  da basse temperature  eliminava in parte o totalmente lo zolfo presente nel minerale . Poi con getti d’ acqua si riduceva il minerale da pirite a solfuro di ferro. Nella fase successiva avveniva la separazione del rane per poi effettuarne la   triturazione  e la  fusione. Erano le fasi embrionali della metallurgia che i nostri avi praticavano. Tutto il lavoro di “cava” veniva effettuato con strumenti di pietra. Alcuni di questi strumenti sono sati rinvenuti in antiche miniere. 
Forno fusorio

Il lavoro propriamente di miniera  era abbastanza elementare. Il metallo che se ne ricava nella fase di triturazione e fusione certamente non presentava caratteristiche di purezza eccezionali. Ma ciò che era importante è che andava a sostituire i manufatti in materiale litico fragile e di non facile lavorazione fino ad allora impiegato nella manifattura di utensili e armi. Il rame fu a lungo il metallo più usato (se non l’ unico) dalle genti preistoriche. Fu sostituito nell’ uso prevalente dalla lega di stagno e piombo: il bronzo. Il periodo storico in cui  fu prevalente l’ uso del bronzo viene indicato come Età del Bronzo. La prima operazione per ridurre le rocce metallifere (precedente frantumate) in metallo era la fusione riducente. Veniva effettuata in un forno in cui raggiungendo la temperatura adeguata con la combustione del carbone si riusciva a separare il metallo dagli altri elementi. Da questa lavorazione venivano ricavati dei lingotti o panele del metallo fuso. La disponibilità dei lingotti consentiva ai nostri antenati mastri metallurgici di realizzare  svariati oggetti,  dalle armi agli oggetti di uso quotidiano. La realizzazione avveniva mediante la rifusione del metallo e la colata del metallo fuso in matrici appositamente preparate. Sono molto interessanti le matrici in steatite rinvenute presso l’ insediamento nuragico di San Luca a Ozieri. Ciò che colpisce nell’ osservazione di queste matrici è la straordinaria precisione della realizzazione. La maestria di chi le realizzo era notevole. Allo stato attuale delle ricerche in Sardegna non è stato rinvenuto nessun forno per la fusione riducente (primaria) di epoca preistorica. Ma ciò non nega che tali forni siano sati utilizzati dalle popolazioni preistoriche sarde. Una prova indiretta e inequivocabile sono il rinvenimento di scorie di fusione e  i crogioli in argilla. Nell’ area archeologica dell’ altare preistorico di Monte d’ Accoddi (nelle immediate vicinanze di Sassari) sono sati rinvenuti due crogioli a cucchiaio (databili alla seconda meta del IV millennio a.C.  Età del Rame). Mentre riferibili all’ epoca nuragica sono alcuni frammenti cupridi,  lingotti Oxhide (a pelle di bue) rinvenuti nei due siti archeologici di Baccus-Simeone e Santu Antiogu nel comune di Villanovaforru. Da rimarcare che il rame di questi lingotti è combattibile con il rame dei giacimenti di Domusnovas (Iglesiente). Questo aspetto dimostrerebbe che non tutto il rame veniva importato ma che in parte si sopperiva con le risorse dei giacimenti sardi. I forni fusori per la fusione riducente erano di piccole dimensioni. Venivano in parte scavati nel terreno con una struttura in pietre che veniva poi ricoperta da argilla per ottenere un buon isolamento termico. L’ aria per la combustione veniva immessa tramite degli ugelli di terracotta. Era un sistema di fusione assai arcaico che non permetteva di ottenere alte temperature, ma che comunque permetteva di fondere il rame (temperatura fusione 1.083 °C). Quando gli uomini preistorici iniziarono l’ attività metallurgica, fu proprio   il rame il primo metallo a essere lavorato in modo intensivo. Con molta probabilità ciò avvenne perché è un metallo che si trova negli strati superficiali della crosta terrestre. Non era necessario scavare pozzi o gallerie profonde. Bastava “grattare” il terreno o fare piccole buche. La Sardegna  ricca di rame  svolse un ruolo attivo nel contesto  dello sviluppo di quella che era la metallurgia preistorica e protostorica nel Mediterraneo Occidentale. Le popolazioni della Sardegna preistorica avevano a disposizione  i giacimenti affioranti del Cambriano (epoca geologica) ricchi di minerali. Dalla Galena si ricavavano piombo e argento (l' argento in quantità  limitata).

Dai solfuri e ossidati di rame si ricavava il rame. Solfuri e ossidati di rame erano particolarmente presenti a Funtana Raminosa presso Gadoni e Sa Duchessa a Domusnovas. Probabilmente questi giacimenti fornirono una buona parte del rame per il fabbisogno dell’ intera isola, Perlomeno nel primo periodo di sfruttamento di questa risorsa mineraria. Nella Sardegna preistorica l' argento fu sicuramente utilizzato fin dagli albori della metallurgia, ma vista la esigua disponibilità fu utilizzato poco. I più antichi manufatti in metallo rinvenuti in Sardegna sono in argento e rame. Sono sottili e di piccole dimensioni. Si tratta di  spilloni, lesine, punteruoli e oggetti vari per l’ ornamento della persona. Tra gli oggetti per l’ ornamento della persona sono di particolare interesse due elementi di collana rinvenuti nella necropoli di Pranu Matteddu a Goni. Sono da riferire alla cultura di Ozieri (Neolitico Finale). Fino all’ inizio del II° millennio a.C. il metallo fu utilizzato per la realizzazione di oggetti simbolo dello status quo dei personaggi più eminenti della comunità. Tali oggetti erano prevalentemente armi e ornamenti. Anche in Sardegna i corredi presenti nelle sepolture databili a quel periodo hanno confermato ciò. Nella Sardegna preistorica e protostorica un metallo fu utilizzato raramente: l’ oro. Sono rarissimi i rinvenimenti di oggetti  in oro. I pochi oggetti rinvenuti e da presumere che siano stati importati o dai sardi come merce di scambio nei rapporti commerciali con altri popoli coevi, oppure  sono stati portati da  qualche “straniero” arrivato sull’ isola. Tra i rari rinvenimenti di oggetti in oro è indubbio che il più rilevante per bellezza e qualità e quello fatto a Gonnostramatza. Nella tomba megalitica di Bingia e Montis è stato rinvenuto un collier in oro e argento di pregevole fattura. Dovrebbe appartenere alla Cultura del Vaso Campaniforme (fine Età del Rame). L’ oro non è mai stata una risorsa mineraria della Sardegna. Non  è mai stato trovato allo stato nativo sotto forma di pepite, grani e pagliuzze nelle rocce e nei depositi alluvionali. L’ unica attività di miniera a cielo aperto per estrarre oro dalle rocce fu fatta tempo fa nel comune di Furtei con scarsi risultati, ma con uno scempio ambientale enorme. Nella Sardegna protostorica lo sviluppo maggiore della metallurgia si ebbe quando si inizio l’ alligazione (Operazione metallurgica con la quale si prepara una lega di metalli) del rame con lo stagno. Il risultato fu l’ ottenimento del bronzo. Fu questo un periodo in cui si introdussero gli oggetti in bronzo in ogni ambito della vita quotidiana. Il vantaggi che il bronzo offriva sia in termini di praticità che estetica erano notevoli. La maggior durezza rispetto al rame garantiva una più lunga durata degli oggetti e maggior versatilità nell’ impiego. Si realizzarono oggetti come le zappe, gli scalpelli, le seghe e le asce che grazie alle doti di robustezza del bronzo permisero di affrontare alcune attività in modo più proficuo e con minor dispendio di energie. Tra queste il taglio e la lavorazione del legname, la lavorazione delle pietre e il lavoro agricolo. Non da meno furono i vantaggi nella produzione delle armi. Le spade, i pugnali e le punte delle lance divennero più resistenti. In quel periodo storico le uniche vere armi di difesa/offesa nel combattimento frontale uomo contro uomo, erano il pugnale e la spada. La maggiore affidabilità e la maggior efficacia a seguito dell’ impiego del bronzo furono importanti per il sistema difensivo. Per produrre il bronzo occorreva disporre di rame e di stagno. La disponibilità del rame era abbondante ma non sufficiente a coprire il fabbisogno (nella lega rame-stagno il rame è presente in percentuale maggiore rispetto allo stagno) e quindi vi fu una importazione da distretti extra insulari. Per ciò che attiene allo stagno, l’ unica concentrazione significativa di cassiterite (minerale dello stagno) apprezzabile presente in Sardegna è quella che si trova a Perdu Cara sul Monte Linas. E’ quindi da presupporre che la quasi totalità dello stagno venisse importato. Con molta probabilità dalla Bretagna o dalla Cornovaglia dove era maggiormente disponibile. Nell’ Italia peninsulare l’ unico giacimento di cassiterite si trova in Toscana a Monte Valerio.  Giacimento che fu sfruttato anche  dagli Etruschi. Da presupporre che anche da questo luogo arrivasse una parte dello stagno. Ciò è plausibile se si considera che la frequentazione tra Etruschi e  Nuragici è pressoché certa. Quando in epoca nuragica si introdusse la produzione di oggetti in bronzo, ne venne ampliata la tipologia e di pari passo subirono un notevole effetto migliorativo sia l’ accuratezza dei particolari  che la precisione delle forme. I mastri metallurgici acquisirono maggior maestria nel forgiare il bronzo probabilmente acquisendo nuove tecniche di lavorazione dalla frequentazione delle popolazioni cipriote e  cretesi,  che avevano iniziato la metallurgia del bronzo prima delle genti nuragiche. La Sardegna che sviluppo la grande Civiltà Nuragica caratterizzata da un assetto sociale dinamico e complesso, e altresì capace di esercitare forme di controllo del territorio elaborate, produsse un' attività metallurgica raffinata e prolifica. I nuragici furono in grado di inserirsi nei circuiti della metallurgia del bronzo nell’ area del Mediterraneo e dell’ Egeo, importando stagno e rame ma probabilmente esportando manufatti. Che vi fossero circuiti di scambio di materie prime per la metallurgia e di prodotti finiti in metallo  tra i popoli coevi delle succitate aree è attestato  dal rinvenimento di due relitti di navi presso le coste sud occidentali turche. Il naufragio dovrebbe essere avvenuto sul finire del XIV o del XIII secolo a.C.. Questi relitti  hanno  destato enorme interesse per la quantità e la qualità del carico. Si tratta di un carico variegato, composto da centinaia di lingotti “Oxhide” di rame, e lingotti a “Panela” sia di rame che di stagno, da una considerevole quantità di oggetti in bronzo: armi, contenitori di varia forma, utensili vari e arnesi tipici per la lavorazione del metallo. Nel carico erano presenti anche altri oggetti vari di materiale diverso dal bronzo  probabilmente provenienti da varie parti del Mediterraneo o dello stesso Egeo. La composizione del carico ci fa capire che sicuramente operava una flotta che trasportava i prodotti metallurgici in vari luoghi. Si può ipotizzare che le due navi stessero effettuando consegne di prodotti finiti della metallurgia, e nel contempo ritirassero le materie prime: rame e stagno. Ipotesi sostenibile data la contemporanea presenza di manufatti in bronzo e lingotti sia di rame che stagno, che presupporrebbe che fosse in uso lo scambio commerciale del tipo: ti do stagno e rame in cambio di manufatti in bronzo. Plausibile dato che il baratto era tipico nel commercio di quei periodi. La produzione “bronzea” abbraccio tutti gli ambiti  della vita quotidiana del popolo nuragico. Dall’ arte all’ agricoltura, alla realtà domestica, alle armi. Per la forgiatura del bronzo si realizzarono molle, palette, mazzuoli e martelli. In ambito domestico si realizzarono sostegni tripodi per la cottura dei cibi, recipienti di varia forgia, spilloni fibule. I sardi nuragici divennero dei bravi artigiani metallurgici, apprendendo nuove tecniche per la forgiatura del bronzo. E’ indubbio che la frequentazione di altri popoli coevi abbia contribuito al miglioramento dei metodi di lavorazione del bronzo, ma è altrettanto vero che i nuragici si distinsero nell’ arte figurativa con le figure in bronzo note come “Bronzetti”. Quest’ aspetto lo tratterò più avanti. Che tra i nuragici  e le popolazioni dell' area egea vi siano stati contatti, è testimoniato da reperti attribuibili al popolo nuragico  rinvenuti a Cipro e  Creta. Nel sito di Pyla-Kokkinokrenos  a Creta e nel porto di Krommòs a Cipro, sono state rinvenute ceramiche di fattura nuragica. Come datazione sono da  riferire  al Bronzo Recente le ceramiche rinvenuta a Creta e al Bronzo Finale quelle di Cipro. Come già accennato l’ arte figurativa con l’ avvento del bronzo subì un notevole impulso migliorativo per ciò che attiene la qualità e la varietà dei soggetti raffigurati.
Bronzetto nuragico
La tecnica adottata dagli antichi artigiani del bronzo fu quella della “CERA PERSA”. E’ una tecnica semplice ma efficace. Consisteva  nella realizzazione della figura che si intendeva realizzare mediante l’ utilizzo della cera. In seguito la figura in cera veniva ricoperta di argilla e cotta. Durante la cottura la cera si scioglieva e i vuoto lasciato veniva colmato con del bronzo fuso introdotto tramite un imbuto di colata che era parte integrante della matrice in terracotta. Quando la colata era raffreddata veniva frantumata la terra cotta rendendo disponibile la figura in bronzo. Semplice ma efficace. Ovviamente venivano tagliati l’ imbuto di colta e il canale di sfiato. Una testimonianza di questa particolare forma della metallurgia nuragica ci viene dal villaggio-santuario di Santa Anastasia presso Sardara dove è stata individuata un' officina metallurgica, in cui sono stati rinvenuti crogioli e resti di matrici in terracotta per la realizzazione di oggetti in bronzo con la tecnica della cera persa. Con questa tecnica furono realizzati i bronzetti e sicuramente anche altri oggetti di ridotte dimensioni e di uso comune nella vita quotidiana, quali spilloni, punzoni piccole palette. La galena da cui si ricava il  piombo in Sardegna è sempre stata abbondante. Fino a tutti gli anni sessanta del secolo scorso l’ attività estrattiva di questo minerale ha marciato a pieno regime. Buona parte del fabbisogno nazionale veniva coperto dalle miniere sarde. I siti più importanti e significativi erano: Buggerru, Monteponi, Ingurtosu (a cui sono particolarmente legato in quanto vi ho trascorso la mia infanzia), Montevecchio e Argentiera (sito dove la presenza di argento nella galena era maggiore). Il piombo fonde a temperature relativamente basse: 327 °C.  Il piombo non fu utilizzato in modo massiccio dalle genti nuragiche. Lo  scarso utilizzo  rispetto al rame e al bronzo è certamente dovuto al fatto che è un metallo molto “tenero”  con elevata
duttilità  e malleabilità. Caratteristiche che ne rendevano facile la forgiatura, ma non compatibili con la realizzazione di armi, contenitori e arnesi da lavoro.  A Troia, a Tirinto a Creta sono stati ricuperati molti oggetti di piombo di varia specie. In epoca nuragica  il piombo veniva usato spesso per la realizzazione di grappe per “cucire” i vasi in ceramica danneggiati. Il distretto minerario dell’ iglesiente è sempre stato importante perché assai ricco di vene metallifere di galena e blenda. In età post nuragica fu sfruttato intensamente dai punici e dai romani.  I romani gli diedero  il nome di Metalla. La Civiltà Nuragica continuo il suo sviluppo anche quando si inizio a usare un nuovo metallo: il FERRO. La transazione dal bronzo al ferro non fu brusca. Per un certo periodo si continuarono ad usare anche armi e oggetti in bronzo in quanto la metallurgia del ferro si stava affinando. Durante l'età del ferro, i migliori utensili e armi erano fatti d'acciaio, una lega costituita da ferro e carbone. La produzione di ferro acciaioso con le modalità del tempo era difficile da realizzare e si preferiva spesso realizzare armi e oggetti vari in ferro battuto. 
Spada punta lancia scalpello in bronzo
Il Ferro rispetto al bronzo è meno tenace, ma di contro la lavorazione risulta più facile. Spade pugnali, punteruoli scalpelli risultavano più resistenti e facilmente affilabili. I minerali da cui si ricava il ferro (amanite, siderite, magnetite) sono molto diffusi e si trovano praticamente ovunque sulla terra. Nonostante ciò l’ uso del ferro tardo a imporsi rispetto agli altri metalli. Principalmente fu dovuto al fatto che le popolazioni preistoriche e protostoriche non riuscirono nei forni  fusori a  raggiungere la temperatura di fusione del ferro: 1.540 °C.  Il ferro quando si inizio ad usarlo veniva ricavato mediante la riduzione di ossidi di ferro in forni fusori che la massimo potevano raggiungere temperature di 1.100-1.150 °C. Il risultato della fusione era una massa spugnosa che in seguito veniva lavorata mediante martellamento per renderla più compatta. Per rendere il ferro più tenace del bronzo venivano aggiunti ulteriori processi metallotecnici e termotecnici che ne innalzavano ulteriormente la "durezza". La cementazione veniva fatta per innalzare il tenore di carbonio e rendere più acciaioso il ferro. La tempra serviva a rendere più resistenti le parti soggette al maggior lavoro e usura. Chiaramente erano tutti processi metallurgici che si avvalevano dei mezzi e delle conoscenze del tempo. E' da presumere che come avvenne per il bronzo anche per il ferro i sardi nuragici  appresero la tecnica metallurgica a seguito della frequentazione  con le popolazione dell' area egea. Finita la grande Civiltà Nuragica, tutti coloro che nei secoli a venire presero possesso della Sardegna ne sfruttarono le grandi risorse minerarie. Punici, Romani, Bizantini, Pisani  e Spagnoli. In epoca recente grandi sfruttatori delle risorse minerarie sarde furono gli Inglesi e  Francesi.