martedì 28 maggio 2013

I giganti di Monti Prana.

di:  Angelo  Vinci

 Statua di arciere orante restaurata
LE STATUE DI MONTI PRANA
Lungo la strada che da San Giovanni di Sinis (nel comune di Cabras) conduce alla spiaggia di Putzi Idu, si trova un sito archeologico, che per gli archeologi e gli appassionai di storia sarda ha una grande rilevanza.  L' importanza del sito  risiede tutta nella unicità ed eccezionalità dei ritrovamenti fatti. Il sito fu individuato per la prima volta ad inizio degli anni settanta dello scorso secolo. Furono rinvenuti dei frammenti di statuaria nuragica in numero consistente: circa 5.000. A partire dal 1975 fu intrapresa una serie di scavi ad opera dei più noti archeologi dell' epoca che operavano in Sardegna, da Giovanni Lilliu, Alessandro Bedini, Carlo Tronchetti, Maria Luisa Ferrarese Ceruti. Nel 1974 nel corso di lavori agricoli presso il Monte Prana, furono portati alla luce numerosi frammenti di statue che da subito hanno fatto pensare che appartenessero a statue di  proporzioni sovrumane. Dai primi scavi è emersa una situazione archeologica completamente nuova per il panorama archeologico sardo. In nessun altro sito archeologico dell' isola fino ad allora erano stati fatti rinvenenti di statuaria litica e nuragica di quel tipo. Gli archeologi per la prima volta si trovarono di fronte a frammenti di statue di proporzioni enormi,  già da un primo esame  furono attribuite al periodo nuragico. Ciò che qualifica maggiormente il sito è la grandezza sovrumana delle statue. Sulla cima di questo piccolo rialzo del terreno ( Monti Prana) si possono notare i resti di un nuraghe. Mentre  alla base del piccolo colle nella parte orientale si trova una necropoli utilizzata dalle genti che frequentavano il luogo attorno al IX secolo a.C. Le tombe sono del tipo a pozzetto ipogeico (sotto terra) e sono individuali, cioè contenenti un solo defunto. Questo ultimo aspetto ci permette di annotare l' avvenuto distacco dalla precedente modalità di sepoltura dei morti dell' Età del Bronzo. Nelle tombe dei giganti  venivano deposti più defunti. Nelle tombe a pozzetto ipogeico, in ogni   tomba i defunti venivano deposti singolarmente. Nel sito di Monti Prana si cambia radicalmente e si va verso la tumulazione individuale, in singola tomba. E' evidente che vi fosse già in atto un mutamento della società nuragica, che implicava  nuove regole sociali,  le quali  comprendevano anche il modo con cui si seppellivano i morti. La necropoli di Monti Prana sorge su una piccola depressione naturale. Le tombe sono scavate ad intervalli regolari, disposte in file.  Ogni singola tomba conteneva un  defunto,  la copertura è fatta con una lastra in arenaria (pietra tenera e di facile lavorabilità). La necropoli è delimitata da una sorta di recinzione fatta con delle piastrine di pietra conficcate nel terreno a "coltello". Da annottare che non tutte le tombe sono scavate nel terreno,  in alcune il pozzetto che costituisce la tomba è fatto con lastre in pietra. Su questa diversità si possono avanzare tante ipotesi, la più accreditabile può essere riferita  alla scarsa consistenza  del terreno. Sono state effettuate analisi antropologiche sui resti umani trovati nelle tombe, ed è emerso che tra i defunti deposti nelle tombe vi erano  individui  di sesso femminile e maschile, sia adulti che bambini.  Il defunto veniva deposto nella tomba in posizione accovacciata,  privo di corredo funebre. A dire il vero in una tomba è stato trovato uno scarno corredo funebre, composto da una collana in bronzo e un sigillo scaraboide in pasta di vetro. Sopra l' area delle tombe è stata trovata una discarica  di frammenti  scultorei che da un esame successivo sono risultati appartenenti a statue rappresentanti esseri umani.
 Frammenti di statua
Sono stati rivenuti nella discarica circa 5.000 frammenti appartenenti a svariate tipologie di statua. Ancora oggi il ritrovamento di cosi tante statue ridotte in frantumi è un mistero. Potrebbero essere state rimosse dalla necropoli, ma potrebbero anche essere dei frammenti di statue mal riuscite e demolite. Con un lavoro lungo e meticoloso buona parte di questi frammenti sono stati ricomposti per dar forma alle sculture. Le  ricomposizioni hanno restituito diverse tipologie di scultura: betili, modelli di nuraghe, figure umane.

LE TIPOLOGIE DELLE STATUE CON RAFFIGURAZIONI UMANE
 Le statue rappresentative di figure umane hanno dimensioni che vanno ben oltre la normale dimensione umana. Le figure umane rappresentate nella statuaria sono di tre tipi: Pugilatore; Arciere orante;  Guerriero con scudo e spada .
 Testa di pugilatore
Il pugilatore è un figura che troviamo rappresentata anche nei bronzetti nuragici. L' uomo che viene rappresentato nella statua ricomposta, indossa un gonnellino sostenuto da una larga fascia e nella mano sinistra regge uno scudo semitondo tenuto sopra la testa, probabilmente per proteggerla. Il braccio destro sollevato fino a toccare, il bordo dello scudo è  rivestito da una sorta di guaina che ricopre anche il pugno. Questa guaina parrebbe in pelle, ma potrebbe anche essere in tessuto o altro materiale. Di certo  protegge la mano e il braccio del presunto pugilatore. Oltre che alla figura di un pugilatore io propenderei anche all' ipotesi che possa trattarsi di un guerriero (ipotesi avvalorata dalla presenza dello scudo) che veniva adibito al combattimento corpo a corpo. Le fasce o guaine che rivestono le braccia e i pugni probabilmente servivano da protezione durante il combattimento corpo a corpo. Anche la presenza dello scudo rafforza la mia  ipotesi. Potrebbe avere avuto la funzione di protezione  del viso dai colpi. Il volto è caratterizzato  da occhi a doppio cerchio e dalla marcata evidenza tra naso e orbite oculari. Anche la bocca e appena accennata da una lieve incisione. Questa caratteristica del viso non si riscontra osservando i bronzetti. Le gambe sono robuste e si evidenziano bene le dita dei piedi, da ciò si può intuire che questi antichi scultori cercavano di evidenziare anche i particolari del corpo. Queste statue sono state ricavate da un unico blocco di arenaria. La grande fragilità di questo materiale potrebbe essere la causa della frammentazione delle  statue. 
 Testa di pugilatore
Altra figura umana rappresentata nelle statue è l' arciere orante. Questa è una figura che viene rappresentata anche nei bronzetti. La figura dell' arciere rappresentato indossa una  tunica che va fino  sotto l' inguine. Sul torso pende una placca rettangolare, di cui si può solo immaginare il tipo di materiale costruttivo: bronzo o pelle. Questa placca la ritroviamo in altre raffigurazioni di guerrieri di altri popoli del Mediterraneo.  La sua funzione era di protezione del torso. Il capo è ricoperto da un elmo crestato e cornuto. Questo tipo di elmo "cornuto" era in uso anche dai guerrieri di altri popoli del Mediterraneo. La particolarità di questo elmo sono le corna che hanno nella  parte terminale dei piccoli globi. L' armatura è costituita da un arco corto tenuto con la mano sinistra,  una spada corta e dalla faretra. La definizione data a questa tipologia di statua  "Arciere Orante" è dovuta alla postura. Ha il braccio destro rivolto in alto con la mano tesa che pare in segno di preghiera-offerta a una qualche divinità. Questa è la più probabile delle attribuzioni che si può dare in merito al tipo di figura che l' artista dell' epoca ha voluto rappresentare. Si apprezzano le finezze dei dettagli, che vanno dagli schinieri ai legacci, alle mani, all' arco. Da non dimenticare che sono statue realizzate nel IX sec. a.C. e la precisione dei dettagli va rapportata al periodo storico, ai mezzi disponibili e alle conoscenze che potevano avere gli scultori di allora sull' arte scultorea.

Guerrieri Shardana
Altra tipologia di statua non molto  rappresentata, è il "Guerriero con spada e scudo". Di questo tipo di statue ne sono state ritrovate poche e in pessime condizioni. Se  osserviamo queste statue prestando attenzione ai dettagli e le confrontiamo con le figure dei guerrieri "SHARDANA" rappresentati in alcuni bassorilievi  e raffigurazioni dell' antico Egitto, non possiamo fare a meno di annotare la straordinaria somiglianza. Stesso elmo, stesso scudo, stessa spada corta e stesso abbigliamento. Ebbene, questo è un' aspetto che rafforza la tesi da molti sostenuta (io sono tra questi) secondo cui i guerrieri Shardana non sono altro che gli stessi guerrieri nuragici. Nella statuaria rinvenuta a Monti Prana abbiamo molti modelli di nuraghe. I modelli di nuraghe sono sia del tipo a torre singola che complessi. Anche queste sculture sono ricavate da un unico blocco di arenaria. In questa tipologia di scultura più che la rappresentazione realistica di un nuraghe, ne osserviamo la sua stilizzazione. I modelli di nuraghe complesso  riprodotti nella statuaria hanno una cortina muraria turrita (munita di torri), con parapetto e torre centrale con terrazza sporgente. Nel corso di scavi effettuati presso alcuni nuraghi sono stati rinvenuti dei lastroni di pietra obliqui,  questo fatto rafforza la tesi secondo cui nella parte finale del nuraghe, vi era una terrazza con pavimentazione lignea, che poggiava proprio sui mensoloni. I modelli di nuraghe erano ben noti agli archeologi già molto prima della scoperta del sito di Monti Prana. Anche nei bronzetti nuragici sono rappresentati i nuraghi. I bronzetti avevano una valenza strettamente legata a valori religiosi.  Erano offerti alle divinità nei luoghi di culto. Nel panorama archeologico della Sardegna l' importanza del sito di Monti Prana è grande e straordinaria. Le statue in cui vengono rappresentati i guerrieri esaltano le virtù belliche dei nuragici. Anche la sacralità con le statue dei pugilatori, dei modelli di nuraghe e dei betili è ben rappresentata. Oltre al  fascino che queste statue emanano, rimane il mistero di chi e perché  costruì le statue. Da lunghi anni presso il Centro Restauri di Li Punti a Sassari è in corso il restauro, che presenta non poche difficoltà a causa della frammentazione delle statue  e del lungo periodo in cui le statue sono rimaste nei depositi (33 anni). L' auspicio è che quanto prima vengano esposte al pubblico per una completa fruizione. 
Foto 5. Statua appena rinvenuta


giovedì 16 maggio 2013

Ampsicora chi era veramente ?

di: Angelo Vinci



Ampsicora


Non c' è paese o città della Sardegna che non abbia dedicato una via o una piazza ad Ansicora. A Cagliari ad Ansicora è stato intitolato perfino lo stadio comunale (stadio in cui gioco il mitico Cagliari di Gigi Riva). Altra consuetudine è la denominazione sociale di tante società sportive. Tante sono quelle che portano il nome di Ampsicora. La più nota e blasonata è la squadra di hockey su prato di Cagliari. Ma perché questa consuetudine ?. Perché i sardi ci tengono così tanto a ricordare questo personaggio ?.  Per dare risposta a queste domande occorre  percorrere tutta la storia della Sardegna fino al periodo della dominazione romana. Ampsicora (o Ansicora come comunemente viene indicato) è luogo comune per i sardi  considerarlo come il simbolo del patriottismo isolano. Ma le vicende storiche ci hanno tramandato un' altra verità. Verità che non ci permettono di acclamare in modo incontrovertibile la sardità di Ampsicora.  Per i sardi la ricerca dell' autonomia è stata sempre difficile, ma nella storia della Sardegna due sono le occasioni emblematiche del tentativo di indipendenza. Il primo tentativo fu messo in atto al tempo della dominazione romana e il secondo fu durante il periodo  giudicale (i 4 regni della Sardegna del Medio Evo) anche se in quest' ultimo periodo fu più un tentativo di coesione tra i sardi attorno al giudicato di Arborea più che una rivolta.  Prima di addentrarci nella vicenda storica di Ampsicora è opportuno fare alcune annotazioni in merito alla situazione dell' isola durante il dominio di Roma. I sardi di allora sotto il dominio romano furono sottomessi e sfruttati, con imposizioni di tributi esosi, senza che fosse concessa loro nessuna libertà. L' isola fu considerata "granaio di Roma". In più occasioni i sardi avevano tentato la rivolta senza successo. Furono tentativi effettuati da gruppi isolati. Non c' era coesione tra i vari gruppi, ciò che mancava loro era una guida, un capo a cui affidare il commando e l' organizzazione delle truppe. I punici avevano colonizzato la Sardegna da tempo, avevano fondato città e detenevano la ricchezza dell' isola. Tra questi coloni  Ampsicora era il più ricco con  il prestigio sociale più alto. Era un punico e non un sardo come molti sono portati a credere.  Si schierò al fianco dei sardi indigeni con il solo scopo di difendere le sue ricchezze. Riuscì a radunare un grosso esercito (15.000 uomini),per contrastare il dominio romano, ma  gli mancava l' appoggio dei sardi che vivevano nelle  zone più interne e montagnose dell' isola. I romani chiamavano questi sardi dell' interno  "sardi pelliti" in quanto gli stessi si  vestivano di pelli. Il tradizionale indumento indossato dalle  maschere di Mamoiada, ne ricalca in qualche modo le fattezze. Questi dati storici su Ampsicora ci sono stati  tramandati dallo storico dell' antica Roma Tito Livio. 


Mamunthome di Mammoiada
I romani non erano ancora riusciti a sottomettere i "pelliti", i quali godevano sicuramente di una seppur disagiata autonomia. I romani   temendo che Ampsicora potesse prendere il controllo dell' isola, inviarono una legione  al cui commando fu posto Tito Livio Torquato, lo stesso che aveva già sedato una rivolta anni addietro. Cartagine  cogliendo il malcontento dei sardi si apprestò a fomentarne ed alimentarne la ribellione. La guarnigione romana era composta da 22.000 fanti e 1.200 cavalieri. Le truppe di Malco e i sardi di Ampsicora si scontrarono  presso Cormus con le truppe romane al comando di Hosto (Hosto era figlio di Ampsicora assente perchè impegnato nei territori interni nel reclutamento di sardi indigeni). Non tutte le città puniche della Sardegna aderirono alla rivolta organizzata da Ampsicora. Sicuramente questa circostanza  costrinse Ampsicora a tentare l' alleanza con i "pelliti" (nome che lo storico romano Tito Livio con disprezzo diede ai sardi che vivevano nella Barbagia). Lo scontro ebbe luogo  nella piana di Cormus (città punica al centro della Sardegna), ma la disparità delle forze in campo era troppo evidente e le truppe di Ampsicora subirono una pesante sconfitta. Sul campo rimasero almeno 3.000 sardi e 1.300 furono fatti prigionieri. Il figlio di Ampsicora  Hosto (o Josto come viene comunemente chiamato dai sardi) fu il responsabile di questa disfatta, fu proprio Hosto che con la sua baldanza  e la sua irruenza tutta giovanile (era molto giovane) porto il suo inconsistente esercito allo scontro diretto con le truppe di Tito Manlio. I sardi di Ampsicora aspettavano il generale Asdrubale  partito da Cartagine.  Ma  a causa di una tempesta non riuscì  sbarcare in Sardegna. Quando Asdrubale riuscì a sbarcare si uni alle truppe di Ampsicora e Annone (comandante punico corso in aiuto dei sardi-punici) e iniziarono l' inseguimento a Tito Livio che era tornato verso Cagliari (Kalaris all' epoca). Nel loro inseguimento distrussero e saccheggiarono tutto nei territori dei sardi che si erano alleati con i romani. Tito Livio Torquato non arrivo a Cagliari, e non sappiamo esattamente dove  si fermo. Di sicuro in prossimità della città stessa di Kalaris. L' ipotesi più accreditata è che si fermo in prossimità di Decimomannu. Lo scontro fu cruento e la battaglia è riporta in tutti gli antichi annali di storia,  ci è tramandata la durata dello scontro finale: 4 ore. Nelle "Storie"  lo storico romano Tito Livio descrive la battaglia così: "Poiché i Sardi erano avvezzi ad essere facilmente battuti furono, furono i punici che lottarono a lungo con esito incerto, ma quando la strage e la fuga dei Sardi fu completata anch' essi furono sbaragliati: furono circondati dall' ala dell' esercito romano che aveva già messo in fuga i Sardi, allora la carneficina fu peggiore della battaglia. I nemici ebbero 22.000 morti e persero 27 insegne e circa 3.700 prigionieri tra Sardi e punici: nel combattimento si comportò egregiamente il comandante Asdrubale, fatto prigioniero, coi cartaginesi Annone e Magone. Ne i capi Sardi resero meno degna quella battaglia con la loro morte: Hosto infatti cadde sul campo e Ampsicora che fuggiva con poco cavalieri, quando seppe della strage e della morte del figlio, durante la notte affinché nessuno potesse impedirglielo, si diede la morte".
Ma questo no fu l' atto finale dello scontro tra  sardi e  romani. Lo scontro finale che sancì in modo definitivo la sconfitta dei sardi secondo alcuni storici ebbe luogo a Sanluri e secondo altri tra Decimomannu e Sestu. L' incertezza sul luogo dello scontro è dovuta alla mancanza di testimonianze tramandate dagli storici antichi. Anche se si studia con attenzione e meticolosità ciò che gli storici nei  loro scritti ci hanno tramandato, non si riesce a trarne nessuna certezza in merito al luogo  in cui questa battaglia finale ebbe luogo. Dopo aver sconfitto i sardo-punici i romani sottomisero la Sardegna a forza di inganni spegnendo definitivamente ogni aspirazione di indipendenza del popolo sardo. Vi furono a dire il vero altri tentativi di ribellione ma furono domati con facilità, ultimo sedato da Marco Cecilio Metello nel 111 a.C.  Fu l' inizio di una dominazione che durò circa 680 anni. Termino nel 456 d.C. quando i Vandali occuparono la Sardegna.  Questi sono i dati storici, ma ora  voglio fare alcune considerazioni in merito alla figura di Ampsicora. Lo storico Tito Livio lo definisce "il primo dei principi dei sardi". Forse Tito Livio con questa attribuzione ci dice che era un ricco possidente terriero cartaginese appartenente alla nobiltà punica. Ampsicora apparteneva ai gruppi di punici che da Cartagine si trasferirono in Sardegna per colonizzarla. Non può essere un sardo indigeno, in quanto un sardo oppresso da Cartagine mai e poi mai avrebbe chiesto aiuto a Cartagine. Solo un cartaginese può averlo fatto. Era in piena sintonia con Annone e Asdrubale nell' azione militare, quindi è lecito pensare che anche egli fosse punico. I sardi "veri" cioè i Pelliti alla sua richiesta di aiuto gli risposero picche. Se fosse stato un sardo la sua richiesta di aiuto avrebbe avuto accoglienza. Non dico che Tito Livio non sia un grande storico dell' antica Roma, ma più semplicemente dico che non è da prendere come oro colato ciò che scrive sull' identità di Ampsicora. Tito Livio non va dimenticato che è uno storico,  ma romano e colonialista, che vede la storia della Sardegna come uno scontro tra i civili (romani) e i barbari delle montagne greti e bellicosi  (i sardi pelliti). Una bizzarra epigrafe su una stele che elogia il patriota Ampsicora è collocata presso S' Archittu (Oristano). Questo il testo  dell' epigrafe scritto in lingua sarda: "A ampsicora e Hosto a sos tremizza patriottas sardos chi pro s' indipendentzia e sa Sardigna in ojos sos lugores de su mare po no esser iscraos de Roma in custas baddes de dolore hant derremadu su sambene issoro Campu e Corra 215 a.C.".  Fornisco la traduzione per chi non è sardo "A Ampsicora  e Hosto ai tremila patrioti sardi che per l' indipendenza della Sardegna negli occhi il riflesso del mare per non essere schiavi di Roma in queste valli di dolore hanno versato il loro sangue Campu e Corra 215 a.C.". Veramente bizzarra questa iscrizione. Un colonizzatore che viene eletto a patriota.


 

Stele di S' Archittu

giovedì 9 maggio 2013

Altare prenuragico di Monte d' Acoddi

di: Angelo Vinci


Altare prenuragico di Monte d' Accoddi
Unico in Italia e in Europa  il ziggurat che si trova nelle vicinanze di Sassari a circa 8 km dalla città in direzione Porto Torres . Si percorre la S.S. 131  un' indicazione in prossimità del sito  invita a svoltare. Ppercorso circa 1 km si arriva al sito . Questo ziggurat è conosciuto come "altare prenuragico di Monte d' Accoddi". Il nome di per se non  ci dice nulla in merito alle genti che lo hanno costruito. E' un mistero ancora irrisolto. L'  attribuzione del nome con cui oggi viene indicato è relativamente recente. Visionando la più antica carta catastale a disposizione degli storici si è potuto costatare che il luogo veniva indicato come Monte de Code che significa Monte di Pietre. Non è che il luogo prima dell' inizio degli scavi fosse realmente un cumulo di pietre. Spuntava qualche pietra qua e la in cima al piccolo colle, la vegetazione la faceva da padrona. Ai piedi del colle vi erano dei massi probabilmente rotolati giù dalla cima. Se oggi abbiamo la  possibilità di  ammirare questo sito lo dobbiamo ad Antonio Segni.  sassarese all' epoca ministro della Pubblica Istruzione  appassionato di storia sarda. Gli archeologi cominciavano   da tempo a formulare più  ipotesi su cosa  effettivamente richiudesse quel tumulo di terra. Si ipotizzava perfino che potesse trattarsi di un tumulo che celava  una tomba etrusca. Anche il futuro presidente della Repubblica Antonio Segni che tanto  a cuore aveva preso le ricerche, ipotizzo che si trattasse di qualcosa di simile ai tumuli   presenti nell' Etruria. Si ipotizzo  che si trattasse delle rovine ricoperte dalla  terra di uno dei tanti nuraghi di cui è costellata la zona .  Come detto precedentemente a seguito dell' interessamento di Antonio Segni,  verso la fine del 1952 si avvio la prima campagna di scavi. Questa prima campagna di scavi prosegui fino al 1958 e furono curati dall' archeologo Ercole Contu. Già da subito dagli scavi emerse una realtà ben diversa dalle ipotesi fino ad allora formulate. Non si trattava ne di tumulo etrusco, ne di nuraghe, ma bensì di una costruzione unica   nel  panorama archeologico della Sardegna. In nessun altro luogo dell' isola  si riscontrano costruzioni simili. Lo stupore degli archeologi fu enorme. Nessuno avrebbe mai immaginato cosa in realtà si celasse sotto quel cumulo di terra. Si trattava di una costruzione che mai si sarebbero aspettati di trovare in Sardegna.  Unica e misteriosa. Alla campagna di scavi effettuate da Ercole Contù dal 1979 al 1989 seguirono alcune campagne di scavi fatte dal prof. Santo Tinè coadiuvato dalla sua equipe. Queste campagne di scavi permisero di dare al sito un' identità più precisa in merito al tipo di costruzione e a chi  edifico la costruzione. In quanto al tipo di costruzione si può dire che si tratta di un' altare simile agli ziggurat della Mesopotamia. Dovrebbe essere stato edificato attorno al 2.600-2.700 a.C.  molto prima che si iniziassero a costruire i primi nuraghi. Ma come mai una costruzione di quella fattezza fu edificata solo in quel punto del territorio isolano ? A oggi non si hanno riscontri oggettivi di altre costruzioni simili in Sardegna. I nuraghi,   le tombe dei giganti, le Domus de Janas, i pozzi sacri sono dislocati in tutto il territorio isolano. Mentre questa costruzione la troviamo solo in questo punto della Sardegna. Ciò che emerse dai primi scavi, è che non si trattava di un nuraghe. Gli archeologi capirono che si trattava di un tipo di  costruzione non presente in nessun altro luogo della Sardegna,  con uno stile architettonico mai visto prima.  Dalla base della costruzione parte una scala lunga 41 mt. e larga alla base  nel punto di partenza 7 mt. Alla fine nel punto in cui si raccorda con la  parte alta della costruzione è larga 13 mt. Non fu solo questo   "ziggurat" sardo a destare sorpresa negli archeologi ma anche la struttura che era "nascosta" all' interno della struttura stessa: una copia più piccola della struttura. Sicuramente per prima venne costruita la struttura più piccola e in seguito si decise di ampliarla  e venne costruita la struttura che conosciamo oggi inglobando la costruzione più vecchia. Questa struttura più vecchia non è visibile dall' esterno. Si ipotizza che sia stata distrutta da un incendio, e successivamente ricostruita più grande  inglobando la struttura precedente. Il sito è ricchissimo di altre testimonianze. 
Menhir


Cinque menhir, due tavole delle offerte. Numerose Domus de Janas  disposte a ventaglio sono presenti nel sito. Ma quale era la funzione dell' altare ? Probabilmente veniva utilizzato per riti e cerimonie  di cui non conosciamo la tipologia. Altro interrogativo da porsi è: perché venne costruito questo ziggurat in questo luogo  perché  non ne furono costruiti altri nell' isola ? Sicuramente il luogo era abitato già molto prima che si costruisse l' altare (3.500-3.000 a.C.. Ne sono prova il menhir e i fondi di capanna rinvenuti attorno al menhir. La presenza del menhir e del  villaggio attorno ad esso ci induce a pensare che il luogo fosse ritenuto sacro. In questo sito tutto il materiale rinvenuto è stato studiato dagli archeologi che ne hanno riconosciuto l' appartenenza a varie culture. Le genti che  occuparono per primi l' area appartenevano alla Cultura di San Ciriaco (3.500-3.200a.C.). A questa cultura segui la Cultura di Ozieri (3.200-2.900 a.C.). La sovrapposizione di un' abitato con un area di culto segnata da un menhir di calcare squadrato e da una lastra di calcare con dei fori passanti, lo attestano. La data di edificazione dell' altare che viene proposta è  2.700 a.C. (Cultura di Filogosa). Se questa datazione rispecchia la reale datazione di edificazione del sito, e se pensiamo che le prime piramidi egizie furono edificate verso il 2.450a.C.. c' è da rimanere stupiti e indotti a riflessione in merito alle prime civiltà della Sardegna. Il raffronto più significativo che viene fatto  è con la ziggurat di Anu e Uruk. Sono state riscontrate tracce seppur sporadiche di una frequentazione in epoca nuragica, fenicio, punica e romana. In una sepoltura situata nell' angolo sud-est dell' altare è stato  rinvenuto il cranio brachicefalo  di un bambino di 6 anni, sormontato da un vaso tripoide in terracotta. Questa sepoltura si può far risalire alla Cultura di Bonnanaro. La rampa probabilmente serviva al sacerdote o officiante per raggiungere la sommità dell' altare dove veniva celebrato il rito. Interessane è il lastrone trapezoidale disseminato di coppelle e sostenuto da tre supporti irregolari. Ha sette fori passanti, la cui utilità  è misteriosa. Si ipotizza che potessero esservi legati animali destinati al sacrificio rituale. Dunque sarebbe stata una tavola per le offerte? Anche l'inghiottitoio naturale posizionato inferiormente alla lastra è di incerto significato. Un altro mistero se cosi si può dire è rappresentato dalla grande pietra sferoidale in arenaria, rifinita accuratamente. Si avanza  l' ipotesi che essa rappresenti l' Amphalos il centro del mondo secondo gli antichi greci. Probabilmente gli antichi abitanti della Sardegna consideravano il luogo come punto di incontro degli assi del mondo. E' stato rinvenuto nei pressi della sfera un bacile-frantoio sporco di ocra rossa. Sono molti i reperti che sono spuntati fuori durante gli scavi: frammenti di idoletti femminili, che si definiscono di tipo "cicladico" (culto della Dea Madre?), ceramiche, due stele (una in calcare riporta un disegno con losanga e spirali). 
Pietra sferica Amphalos
Di grande interesse è la capanna a cui gli archeologi hanno dato il nome di  "capanna dello Stregone". Forse era lo stregone dell' epoca oppur  un  alchimista d' altri tempi? Dentro di essa trovavano posto cinque ambienti di forma diversa, è probabile che sia stata  abbandonata in tutta fretta forse perché incendiata: sul focolare si trovava ancora un treppiede; e poi c'era una brocca capovolta che conteneva una punta di corno bovino e alcune conchiglie marine bivalve. Sono stati rinvenuti un centinaio di vasi piccoli e grandi, un idoletto femminile, un peso da telaio decorato con dischi pendenti, numerose macine di pietra e altro materiale fittile. E' da supporre che questo altare era un luogo di culto e venerazione che richiamava gente da tutta l' isola. Non è chiaro come mai  una costruzione uguale o simile non si trovi in nessuna altra parte della Sardegna. I pozzi sacri del periodo nuragico, che erano dei luoghi di culto sono dislocati in tutto il territorio isolano. Ciò sarebbe dovuto  avvenire anche per questo altare se esso faceva parte di una cultura costruttiva tipica isolana. Visto che ciò non è avvenuto è lecito avanzare altre ipotesi. Una ipotesi è che  fosse stato importato da  altrove. Magari  dal Vicino Oriente?  E se fosse stato costruito dal mitico popolo  del continente perduto descritto da Platone ?. Di sicuro c' è che è una costruzione atipica ed unica nel panorama archeologico della Sardegna. E' un mistero che ancora oggi si cerca di risolvere. Hanno sempre considerato i sardi della preistoria come un popolo  di una  buia preistoria, isolati dal resto del  mondo. Oggi  si scopre che erano molto abili in tutte le loro attività, artigiani provetti, che seppellivano i loro morti in tempi ancestrali, denotando quindi una forma di culto che nel resto nella penisola italiana era sconosciuta. Un popolo che era capace di costruire templi come questo. Che era in grado di costruire i nuraghi. Gli antichi sardi, è luogo comune considerarli illetterati, ma anche se non risulta che conoscessero la scrittura, erano capaci di erigere costruzioni come questo altare  e  i nuraghi. Per quei tempi la edificazione di simili strutture presupponeva conoscenze  di tecnica edilizia avanzate. Vi è tanto, ma veramente tanto da conoscere su questo grande popolo.
contrappesi in pietra per telaio
La rampa come già detto è lunga 17,5 mt. e larga da un minimo di 7 ad un massimo di 13,5 mt. Tutto l' insieme e lungo 75 mt. mentre  l' area occupata è di 1.600 mq. Le murature sono costituite in blocchi di calcare. A differenza di come avviene nei nuraghi i blocchi superiori dei filari non poggiano sulla giuntura di quelli inferiori. Le mura esterne sono costituite da pietre a vista, e sono leggermente inclinate, probabilmente per prevenire problemi di staticità. le mura hanno il solo scopo di contenere l' ammasso di pietrame e terra. Anche la rampa è costruita con lo stesso metodo: muro di contenimento e ammasso di pietre e terra interno.